OGNI PAURA HA LA SUA ETÀ: QUALI TIMORI ACCOMPAGNANO LE TAPPE DI SVILUPPO DEL BAMBINO
Paura del buio, dell’estraneo, dei mostri sotto il letto, del fon o della centrifuga. Le paure dei bambini possono essere infinite e a volte anche creative, così come possono essere simili e tipiche per ogni tappa evolutiva.
La paura è un’emozione funzionale alla sopravvivenza in quanto segnala al bambino la presenza di un elemento nell’ambiente che potrebbe minacciare la sua incolumità o quella di chi gli è accanto.
Svolge quindi una funzione autoprotettiva mettendo in moto una serie di processi neurofisiologici finalizzati a preparare il corpo ad agire prontamente in situazioni di pericolo, scappando o nascondendoci.
Il significato delle paure dei bambini va ricercato nella storia individuale di ognuno di loro, tuttavia il processo di crescita prevede il manifestarsi di alcune paure considerate tipiche per l’età e destinate a scomparire con la crescita.
Iniziano a manifestarsi nei periodi in cui i bambini compiono dei salti evolutivi ampliando il loro interesse per l’ambiente e l’esplorazione e quindi la percezione della propria autonomia e indipendenza. Esplorare il nuovo è, in parte, destabilizzante perché espone a ciò che non si conosce e può spaventare.
Essenziale in questi frangenti, è la presenza di un adulto sensibile che possa fungere da supporto per ridurre il livello di attivazione e far sì che lo stato di paura non venga avvertito come pervasivo, troppo intenso o disorganizzante, e regolando con la loro presenza lo stato emotivo del bambino.
Dalla prima infanzia alla preadolescenza: le tappe di sviluppo della Paura
Prima infanzia
Nella prima infanzia le cose che fanno paura sono principalmente la sensazione di perdita del supporto fisico, i rumori forti e improvvisi, l’altezza.
La paura di cadere, una paura innata, è evidente nel movimento dell’afferramento presente nel neonato e noto come riflesso di Moro: quando un neonato viene scoperto o ha un soprassalto, o quando viene improvvisamente allentata la presa, le sue braccia si estendono di scatto lateralmente come a voler afferrare qualunque cosa o una persona vicina (Panizon, 2005).
Il grido di allarme che accompagna il riflesso ha la funzione di richiamare l’attenzione e l’intervento degli adulti presenti.
Questo è il periodo di crescita in cui compare anche la paura dell’estraneo: dall’età di quattro mesi, infatti, molti bambini reagiscono occasionalmente alla presenza di una persona estranea dapprima immobilizzandosi in un atteggiamento guardingo e poi lamentandosi.
Un disagio che cresce nei mesi successivi quando, intorno all’ottavo-nono mese, il sorriso indiscriminato lascia il posto a un sorriso selettivamente destinato solo a coloro che gli sono familiari.
Dalle persone fisiche, la paura dell’ignoto si allarga anche ad oggetti, luoghi sconosciuti e spazi vuoti: a quest’età la capacità di percepire la terza dimensione non si è ancora sviluppata, pertanto gli spazi vuoti vengono vissuti con forte angoscia per via della sensazione di perdita dei riferimenti abituali.
Da uno a cinque anni
Dopo l’anno di età i bambini hanno affinato la loro competenza nella lettura delle espressioni del volto delle persone che li circondano e le utilizzano come affidabile fonte d’informazione sull’ambiente.
Per esempio, nelle situazioni ambigue in cui per il bambino non è chiara la pericolosità della situazione, un’espressione del volto preoccupato, arrabbiato o al contrario incoraggiante e tranquillo, può bloccare o favorire il procedere esplorativo del bambino.
Le informazioni trasmesse attraverso lo sguardo del genitore influenzano la percezione di pericolosità o sicurezza dell’ambiente e aiutano il bambino nella costruzione dei suoi schemi di percezione del mondo che può quindi essere vissuto come pericoloso o al contrario interessante.
Sempre in questo periodo di crescita possono emergere paure legate alla possibilità di farsi male o per le normali azioni abituali di pulizia come fare il bagnetto o lasciarsi pulire all’interno delle orecchie.
Tra i tre e i cinque anni iniziano a presentarsi le paure degli animali, molto spesso a spaventare i bambini sono i cani e le creature immaginarie come mostri, fantasmi e vampiri.
Gli animali possono suscitare allarme per l’estraneità del loro aspetto, ma ciò che spaventa di più il bambino sono i rumori che possono emettere all’improvviso o i movimenti rapidi con cui si avvicinano.
La grande paura del buio, che gli etologi considerano una paura legata al timore di poter essere aggrediti più facilmente, insorge intorno ai tre anni. La ridotta visibilità e la percezione incerta facilita l’attività della fantasia e dell’immaginazione dando vita a scene terrifiche che spaventano il bambino.
Dall’infanzia alla preadolescenza
Durante la scuola primaria le paure continuano a coinvolgere gli animali, estendendosi a quelli più piccoli come insetti e aracnidi, e iniziano a fare paura anche gli eventi naturali come il terremoto, i lampi e i tuoni.
Sempre in questa fascia d’età inizia a comparire la mancanza di senso di sicurezza personale e la paura della morte propria o dei familiari.
Dai nove anni iniziano ad emergere anche preoccupazioni legate alle prestazioni scolastiche e sportive, mentre dai tredici anni in poi l’attenzione si rivolge al mondo esterno ed iniziano ad affiorare paure legate alle interazioni sociali, agli amici e al proprio comportamento riflettendo così il processo maturativo del preadolescente.
Normalmente le paure infantili tendono a sparire velocemente anche se tracce di esse sono riscontrabili nella vita adulta: basti pensare ai timori che spesso accompagnano nuove situazioni o al buio che continua a favorire il timore di essere aggrediti e il senso di vulnerabilità.
In alcune condizioni le paure non spariscono, sembrano eccessive per l’entità del problema e interferiscono significativamente con il funzionamento scolastico e sociale.
Sono questi i momenti in cui il disagio emotivo manifestato attraverso la paura è un segnale da non sottovalutare e richiede l’intervento di un professionista.
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Dott.ssa Elisabetta Boschini
Psicoterapeuta, Esperta in Neuropsicologia.
Bibliografia:
Panizon F. (2005), Principi e pratica di pediatria. Monduzzi Editore.
Strepparava M.G.; Iacchia E. (2012), Psicopatologia cognitiva dello sviluppo. Bambini difficili o relazioni difficili? Raffaello Cortina Editore, Milano.
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