IL CERVELLO CHE IMPARA: NUOVE SCOPERTE DALLA NEUROEDUCAZIONE
In una giornata scolastica, l’organo che più di altri si impegna nei processi di apprendimento è il cervello. Nonostante ciò, gli studi sul suo funzionamento durante questi delicati passaggi, sono solo di recente nascita e fino a pochi anni fa l’unico punto di riferimento era la teoria degli stadi di intelligenza di Piajet.
Le tecniche di neuroimaging messe al servizio del cervello che impara, ci permettono di conoscere meglio le sue leggi e i suoi limiti, e permettono agli insegnanti di capire perché alcune condizioni di apprendimento sono efficaci, mentre altre non lo sono.
Primo passo: inibire gli inganni del cervello
Gli appassionati di illusioni ottiche sanno bene che il cervello è spesso vittima di errori di intuizione percettiva. Consideriamo per esempio una delle regole percettive della scuola della Gestalt : la legge della prossimità. Secondo questo principio l’occhio umano tende a raggruppare gli elementi simili e a percepirli come più vicini.
Per esempio, nel caso di un confronto tra due quantità uguali di elementi simili ma con distanza diversa, la prima percezione sarà quella di due quantità diverse, dove la maggiore è quella con più distanza.
La capacità di percepire la stessa quantità anche a distanza diversa, implica l’applicazione di un principio cognitivo chiamato “compito della conservazione della quantità”, che normalmente si sviluppa intorno ai 7-8 anni.
Studi effettuati con risonanza magnetica funzionale, su bambini di età successiva agli 8 anni, hanno mostrato l’attivarsi non solo delle aree dedicate alla quantità (corteccia parietale), ma anche di aree della corteccia prefrontale dedicate all’inibizione dell’ “inganno del cervello”, secondo il quale al variare della lunghezza varia anche la quantità.
Altri test hanno confermato questa legge di apprendimento per inibizione. Per esempio, un frequente errore che si osserva nella scuola elementare riguarda i problemi “additivi”, ossia quelli che presentano un enunciato verbale del tipo “Francesco ha 7 biglie. Ne ha 5 in più di Lara. Quante biglie ha Lara?”.
La risposta giusta prevede la sottrazione 7-5 = 2, ma spesso gli alunni non riescono a inibire l’automatismo dell’addizione scatenato dall’espressione “più di” presente nell’enunciato, questo spiega la risposta errata: 7+5= 12.
Gli automatismi entrano in gioco anche nella lettura e nell’ortografia. Consideriamo per esempio l’errore ortografico di omissione dell’ “h” nei testi scritti: l’aggiunta della consonante come indicativa del verbo avere, implica l’inibizione dell’automatica conversione fonema-grafema che non percepisce la necessità dell’uso della lettera, ma anzi richiede un ulteriore sforzo di comprensione semantica e sintattica della frase.
Cosa sono le capacità inibitorie?
Le capacità di inibizione degli stimoli non rilevanti, rientrano nel complesso quadro delle cosiddette “funzioni esecutive”, ossia un insieme di abilità cognitive fondamentali per l’esecuzione di procedure, risoluzione dei problemi, attenzione, memoria, selezione e inibizione di informazioni importanti.
A livello cerebrale queste aree si trovano nella corteccia pre-frontale, una specifica zona del lobo frontale la cui compromissione o uno sviluppo alterato può portare a deficit attentivi e impulsività che possono compromettere, in modo significativo, i processi di apprendimento.
Un fenomeno esemplare che si manifesta nei casi di alterato sviluppo di queste aree è il Disturbo da Deficit d’Attenzione e Iperattività, il cui quadro sintomatologico è proprio caratterizzato da impulsività, mancato controllo del comportamento e delle emozioni, difficoltà nella pianificazione e nelle abilità di problem solving.
Inibizione e Disturbi Specifici dell’Apprendimento
Le ricerche svolte fino ad ora non sono ancora giunte a individuare un nesso chiaro tra un funzionamento alterato delle aree coinvolte nei processi di inibizione e i Disturbi Specifici dell’Apprendimento.
Dai risultati che abbiamo però, appare chiaro come la mancanza o un alterato funzionamento di quest’area possa comportare difficoltà nel superamento di alcuni automatismi cognitivi, diminuendo la flessibilità del cervello e di conseguenza la sua capacità di apprendimento.
Per esempio, i quadri clinici dei casi di disturbo da deficit d’attenzione e iperattività, sono spesso aggravati dalla presenza di disturbi specifici dell’apprendimento nell’area del calcolo, come la discalculia, e della scrittura: disortografia e disgrafia.
Tale peculiarità, potrebbe sostenere la tesi che la mancanza della capacità inibitoria, tipica del disturbo, possa alterare alcuni processi di apprendimento.
Come intervenire per sviluppare le capacità inibitorie?
Nelle scuole francesi e canadesi sono in corso esperimenti con interventi volti a sviluppare il “controllo cognitivo” e le funzioni esecutive.
Si propone agli studenti un compito di logica (come per le biglie di Francesco), poi li si allena a inibire la prima risposta invitandoli ad esercitarsi con una “trappola per errori”. Il dispositivo è costituito da una tavola didattica con uno spazio tratteggiato, che simboleggia la zona inibitrice, dove i bambini devono spostare il cartoncino corrispondente alla prima risposta automatica.
Tramite l’imaging cerebrale è stato evidenziato il cambiamento che si verifica nel cervello degli alunni quando, durante il compito, passano da un modo percettivo semplice, automatico ma erroneo, a un modo logico, complesso ed esatto. I risultati indicano un passaggio molto netto delle attivazioni cerebrali dalla parte posteriore del cervello alla corteccia prefrontale.
Altri studi stanno lavorando alla creazione di un gioco che tramite un segnale di stop blocca la risposta automatica, in questo modo si allena la corteccia prefrontale che automatizza il processo inibitorio fino a quando il segnale non sarà più necessario e la risposta avrà perso l’automatismo errato.
Quale futuro per gli studi della neuroeducazione? Scoprire il funzionamento del cervello nei processi di apprendimento è un dato essenziale per giungere a modalità di insegnamento sempre più efficaci.
Non solo: questo ci permetterà anche di comprendere il funzionamento di chi ha un Disturbo Specifico dell’Apprendimento e di trovare strumenti e tecniche che possano garantire anche a loro un livello di apprendimento pari a quello degli altri, senza il necessario utilizzo di strumenti compensativi e misure dispensative.
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