Insegnanti efficaci

Corso di aggiornamento Professionale sulla relazione interpersonale e sulla comunicazione

Descrizione del corso

Il corso Insegnanti Efficaci è la versione italiana di Teacher Effectiveness Training. Assieme ai corsi paralleli per genitori e per giovani esso si basa sul modello formativo dell’ Effectiveness Training International. ideato da Thomas Gordon, allievo di Carl Rogers, e diffuso in tutto il mondo dai suoi numerosi collaboratori.

Il corso Insegnanti Efficaci si prefigge di sviluppare o migliorare la sensibilità e le competenze necessarie per affrontare con successo i complessi e molteplici aspetti della vita scolastica. Esso unisce la psicologia umanistica di Carl Rogers con la riflessione pedagogica, la ricerca metodologica e le tecniche didattiche più avanzate, nella definizione di un modello di aggiornamento professionale capace di massimizzare e ottimizzare la qualità dell’esperienza scolastica e il tempo di lavoro effettivamente utile e significativo, riducendo al minimo il malessere delle persone.

A tal fine il corso valorizza la sensibilità e la tendenza formativa presente nelle persone e facilita l’acquisizione delle competenze necessarie per risolvere i numerosi e complessi problemi di relazione e di comunicazione che insorgono quotidianamente nel contesto della scuola.

Tali abilità, una volta acquisite, facilitano realmente la soluzione dei problemi e progressivamente contribuiscono alla creazione di un clima di lavoro salutare, soddisfacente e produttivo per l’intera comunità scolastica. Un ulteriore vantaggio è nella possibilità di trasferire tali capacità relazionali in altri contesti come la famiglia, il lavoro, le amicizie.

Ciò che distingue questo corso da numerose altre proposte formative è il suo obiettivo di unire il pregio della sistematicità e compiutezza a quello della relativa brevità del tempo di aggiornamento, il tutto a costi facilmente accessibili.

Caratteristiche

E necessario innanzitutto precisare che quello che viene qui presentato, diversamente dalla utilizzazione parziale che ne è stata fatta finora in Italia, è il programma originale e completo così come è stato elaborato da Thomas Gordon e come viene attualmente diffuso e applicato in altre nazioni.
Il corso è tenuto esclusivamente da persone formate e autorizzate da Effectiveness Training Inc.. In Italia tali persone sono certificate dall’Istituto dell’Approccio Centrato sulla Persona (IACP) che ha l’esclusiva del metodo.

Insegnanti Efficaci è un corso breve (durata minima di 24 ore) di aggiornamento organico e integrato, che ha per destinatari docenti, animatori e educatori, e chiunque debba esercitare nel suo ambito attività di insegnamento.

Questo corso è forse il programma di maggior successo che sia mai stato indirizzato agli insegnanti allo scopo di migliorare la conduzione della classe, il controllo della disciplina e la capacità di comunicazione interpersonale, di risolvere i conflitti e incrementare la consapevolezza nel campo dei valori e delle scelte.
Dal suo inizio ad oggi si sono formati in questo metodo oltre un milione di insegnanti e formatori di oltre trenta paesi del mondo.

Il Teacher Effectiveness Training, realizzato da Gordon nel 1966, si basa sul pensiero e sulla prassi educativa di Carl Rogers e integra l’approccio umanistico con tecniche didattiche avanzate. Esso è strutturato in modo da proporre contemporaneamente e in maniera integrata il livello della teoria e quello della esperienza ed ha pertanto una valenza cognitivo-esperienziale.

Esso deriva da numerose e qualificate esperienze di ricerca pedagogica, e si compone di una serie di metodi che i partecipanti possono apprendere e applicare nel loro lavoro come nella loro vita.

E’ opportuno sottolineare che, al di là dei metodi e delle tecniche, è di fondamentale importanza che i partecipanti comprendano e condividano i principi concettuali a cui essi si ispirano: una filosofia decisamente democratica, centrata sul rispetto delle persone, e basata sulla convinzione che in caso di conflitto non è giusto che a vincere sia solo una delle due parti in causa (ad esempio: l’adulto o l’adolescente). Una soluzione produttiva viene raggiunta solo quando entrambi si sentono vincenti perché hanno veramente collaborato nella comprensione del problema e nella ricerca delle soluzioni, un clima di autentica condivisione del potere e della responsabilità.

Obiettivi

Obiettivi generali

Lo scopo principale del corso Insegnanti Efficaci è quello di sviluppare e affinare la competenza relazionale degli insegnanti di ogni ordine e grado. Vuole formare “insegnanti efficaci” nella comunicazione educativa, intendendo per efficacia la capacità di esercitare una effettiva, concreta influenza sugli allievi senza far ricorso all’uso del potere.

Più in particolare lo scopo di questo corso è quello di incrementare la qualità e la quantità di tempo dedicato nella scuola al processo di insegnamento/apprendimento facendo risparmiare a insegnanti, allievi e responsabili della scuola tempo ed energie facilmente dispersi per far fronte ai problemi e ai conflitti presenti nelle classi e nella scuola.

insegnanti efficaci

Obiettivi specifici

Gli obiettivi del corso possono essere chiaramente compresi se si fa riferimento alle seguenti competenze relazionali che i partecipanti hanno l’opportunità di apprendere, e che costituiscono di fatto il contenuto del corso:

  1. Osservare e descrivere oggettivamente il comportamento, proprio e degli altri, evitando l’uso di etichette, valutazioni e giudizi personali fuorvianti.
  2. Identificare le aree problematiche ed apprendere ad attribuire correttamente, in situazioni conflittuali, la competenza dei problemi a noi o agli altri al fine di individuare una via di soluzione.
  3. Apprendere nuove e più efficaci modalità di ascolto e comprensione empatica al fine di avviare in modo utile una relazione di aiuto.
  4. Confrontarsi positivamente e produttivamente con gli altri, specialmente nelle situazioni in cui gli altri hanno comportamenti per noi “inaccettabili”, esprimendo in modo chiaro e congruente fatti, pensieri e sentimenti.
  5. Esprimere liberamente le proprie emozioni e le proprie opinioni senza ferire o ingannare l’
  6. Saper integrare le capacità di ascolto e di confronto precedentemente apprese.
  7. Apprendere come e quando impiegare metodi “democratici” nella risoluzione dei conflitti, al fine di individuare soluzioni comuni che rispondano ai bisogni di tutte le parti in causa.
  8. Offrire opzioni efficaci a risolvere le collisioni di valori.
  9. Struttura del corso

Il Corso è di­viso in otto moduli:

1° modulo

  • Presentazione del corso e degli obiettivi.
  • Analisi delle aspettative e dei bisogni dei partecipanti.
  • Definizione del comportamento. Comportamenti dell’
  • Come capire il comportamento delle persone.
  • Il rettangolo del comportamento.
  • Come riconoscere, affrontare e risolvere i problemi.
  • Di chi è il problema?

2° modulo

  • Come prestare ascolto e attenzione all’
  • Le barriere alla comunicazione.
  • La teoria della comunicazione.

3° modulo

  • Le caratteristiche di una relazione di aiuto.
  • L’ascolto passivo.
  • L’ascolto attivo.
  • L’

4° modulo

  • Come ottenere ascolto e attenzione dagli altri.
  • I messaggi in prima persona.
  • Il confronto e l’assertività.
  • Genuinità e empatia.

5° modulo

  • Come trattare la resistenza al cambiamento.
  • La teoria dell’iceberg: cosa c’è sotto l’ira?
  • La teoria dei bisogni di Maslow.
  • Il cambio di marcia.

6° modulo

  • Come risolvere gli inevitabili conflitti in modo che tutte le parti in causa si sentano rispettate.
  • Conflitti su bisogni concreti e collisioni di valori.
  • Stili di risoluzione dei conflitti.
  • Come lavorare efficacemente in team.

7° modulo

  • Uso del potere.
  • Metodi I e II: aspetti positivi e aspetti negativi.
  • Come rendere produttiva la conflittualità.
  • Il metodo III.

8° modulo

  • Come promuovere l’autocontrollo e l’
  • Come modificare l’ambiente scolastico.
  • Come trattare le collisioni di valori.
  • Le opzioni ad alto e a basso rischio per la relazione.

Metodologia

Il corso Insegnanti Efficaci si ispira ai modi di essere” e agli atteggiamenti facilitanti” di Carl Rogers e si presenta come un corso strutturato, con sequenze temporali precise e ricco di materiale didattico. Attua una forma di apprendimento attiva e impegna i partecipanti nella diretta esperienza dei concetti e delle abilità insegnate. Facilita la condivisione di esperienze e l’espressione di idee, dubbi e problemi.

Il processo di apprendimento si svolge lungo un cammino articolato in quattro momenti essenziali:

Strutturare le varie attività: si tratta di una breve presentazione dei contenuti e degli obiettivi di ogni modulo, con l’uso di sussidi audiovisivi.

Interessare i partecipanti con l’uso di role play, di ricordo guidato di importanti esperienze, di riflessioni scritte, di esercizi, di casi esemplari, di laboratori esperienziali effettuati in coppie, triadi, piccoli gruppi.

Discutere quanto appreso condividendo in piccoli e grandi gruppi le intuizioni e le nuove tecniche apprese.

Applicare quanto imparato e sperimentato nelle proprie attività personali e professionali, esercitandosi con il personale della propria scuola, in famiglia ecc. e cominciando a pianificare l’uso costante delle abilità apprese nel proprio lavoro.

Materiale didattico

I partecipanti utilizzeranno un quaderno di lavoro (workbook) appositamente predisposto. Alla fine del corso ogni partecipante riceverà un certificato di partecipazione.

Organizzazione

Il corso ha una durata di 24 ore suddivise in 8 incontri di 3 ore ciascuno oppure in 4 incontri di 6 ore ciascuno. Soluzioni differenti possono essere concordate.

Formatore

Il corso sarà tenuto dalla Dott.ssa Simona Volpi Psicologa – Psicoterapeuta individuale e di gruppo dell’Approccio Centrato sulla Persona – Formatrice Gordon.

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Disturbi specifici dell'apprendimento

Negli ultimi anni, gli ambienti scolastici e le famiglie con figli in età scolare, hanno assistito ad un incremento sempre maggiore di diagnosi di Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA).

Con questo termine ci riferiamo a difficoltà negli apprendimenti più comunemente conosciute come dislessia, disortografia, discalculia e disgrafia.

Ma cosa sono esattamente i DSA? Non sempre la diagnosi viene accompagnata da una corretta spiegazione di ciò che sono e delle conseguenze sul piano emotivo e comportamentale che questa comporta, generando una confusione che non facilita la presa in carico e la realizzazione degli interventi didattici suggeriti dai professionisti.

A cosa ci riferiamo con l’acronimo DSA? Quali e quanti sono?

DSA è l’acronimo di Disturbi Specifici dell’Apprendimento, ossia un disordine del neurosviluppo caratterizzato dal funzionamento alterato di un dominio di abilità (lettura, scrittura, calcolo), in bambini e ragazzi senza deficit cognitivo.

 In base all’abilità strumentale compromessa, si distinguono in:

  • Dislessia: compromissione della lettura nelle componenti di rapidità e correttezza, si valuta quindi se la lettura appare clinicamente lenta o se il bambino compie molti errori, ad esempio confondendo lettere simili (es. p/b, a/e) o omettendo parti di parola.
  • Disortografia: compromissione caratterizzata da errori di scrittura di varia natura (doppie, fusioni illegali, accenti, omissione di lettere fantasma, inesatta realizzazione del suono /cu/ al posto di /qu/ ecc.).
  • Disgrafia: tratti grafici valutati come significativamente inferiori alla norma per quanto concerne il parametro rapidità o leggibilità. Si valuta quindi se la scrittura del bambino appare poco chiara e illeggibile e di quanto tempo il bambino necessita per scrivere, un bambino disgrafico può infatti riuscire a scrivere in maniera “pulita” ma necessita di molto più tempo e impegno dei suoi coetanei.
  • Discalculia: difficoltà nel riconoscere i numeri e il loro significato, nello svolgere calcoli a mente e nell’eseguire correttamente le procedure di calcolo.

Secondo la Consensu Conference del 2011 è possibile fare diagnosi di DSA solo al termine del normale processo di insegnamento delle abilità di lettura, scrittura (fine classe seconda della scuola primaria) e di calcolo (fine classe terza della scuola primaria), questo perché si ritiene necessario dare al bambino un tempo di stimolazione delle capacità di apprendimento adeguato al suo livello di sviluppo.

Una diagnosi anticipata, infatti, aumenta in modo significativo la rilevazione di falsi positivi, ovvero di bambini le cui difficoltà sono solo l’esito di tempi di maturazione diverse e non il principio di un disturbo specifico dell’apprendimento.

La diagnosi può essere svolta presso le ASST di competenza o presso centri privati accreditati e richiede, non solo una valutazione dello stato degli apprendimenti, ma anche una valutazione del funzionamento cognitivo e neurologico. Secondo il DSM V, non è infatti possibile fare diagnosi di DSA se è presente un quoziente intellettivo inferiore alla norma o un deficit di natura neurologica.

Avvio del percorso diagnostico: quando farlo e come procedere?

Nonostante si convenga nel sostenere che la diagnosi di DSA non possa essere effettuata prima del termine della seconda o terza classe della scuola primaria, è possibile, già a partire dall’ultimo anno della scuola dell’infanzia, individuare alcuni segnali d’allarme che possono facilitare genitori, insegnanti e professionisti nello svolgere una valutazione efficace.

Essendo campanelli d’allarme, non è detto che tutti i bambini con queste difficoltà avranno poi una diagnosi di DSA, ma aumenteranno le probabilità di un approccio difficoltoso alle richieste scolastiche, con conseguenti rallentamenti nell’apprendimento e ricadute sul piano emotivo. Una valutazione precoce permette quindi di rassicurare la famiglia e il bambino, individuare le strategie più adeguate e, nel caso fosse necessario, intraprendere un trattamento riabilitativo volto al potenziamento delle abilità compromesse.

Quali sono i campanelli d’allarme e quando prenderli in considerazione?

Durante l’ultimo anno della Scuola dell’infanzia necessitano di maggiore attenzione i bambini con difficoltà fonetico-fonologiche, difficoltà a ricordare filastrocche e canzoni, nel raccontare brevi eventi e con fragilità nelle competenze metà-fonologiche (riconoscere parole lunghe o corte, dividere in sillabe e riconoscere rime o sillabe iniziali). Per quanto concerne l’aspetto logico-matematico andrebbero monitorati i bambini con difficoltà a riconoscere piccole quantità e a confrontare insiemi con un diverso numero di elementi.

Con l’ingresso nella scuola primaria, si considerano a rischio i bambini con le seguenti difficoltà:

Lettura

  • Al termine della prima elementare confusione tra grafemi speculari o con aspetti fonetici simili (es. p/b, t/d);
  • Lettura lenta e sillabata con salti di rigo o omissioni di parole;
  • Difficoltà di comprensione di frasi o breve testi letti in autonomia.

Scrittura

  • Al termine della prima elementare molti errori fonologici ovvero scambio tra grafemi simili percettivamente (es. b/d) o uditivamente (es. t/d),
  • Errori nell’utilizzo dei trigrammi ortografici,
  • Regole ortografiche non automatizzate.

Matematica

  • Difficoltà a compiere piccoli calcoli, anche con l’utilizzo delle dita,
  • Estrema lentezza nel conteggio retrogrado, soprattutto dal 20 al 10 ed al cambio di decina,
  • Difficoltà a leggere o scrivere i numeri,
  • Difficoltà a ricordarsi le procedure di calcolo.

Studio

  • Difficoltà nella memorizzazione delle tabelline,
  • Difficoltà a imparare i termini specifici della materia o a recuperare dalla memoria quelli già conosciuti,
  • Difficoltà a ripetere un argomento senza traccia scritta.

In ultimo, è bene ricordarsi che i bambini che hanno intrapreso la prima classe con difficoltà fonetico-fonologiche ancora presenti, avranno una maggiore probabilità di avere successivamente difficoltà scolastiche.

disturbi specifici dell'apprendimento

Il bambino, lo psicologo e le insegnanti. Quali sono le ricadute emotive di una presa in carico tardiva?

I campanelli d’allarme spesso si accompagnano a segnali di disagio emotivo vissuto dal bambino nel riconoscere la sua diversità d’apprendimento rispetto ai compagni.

L’esperienza clinica e i dati riportati da numerose ricerche suggeriscono, infatti, che i disturbi specifici dell’apprendimento, oltre che tra loro, si presentano frequentemente associati a disturbi emotivi e comportamentali che possono portare a grandi sofferenze emotive nell’infanzia ed a una deviazione patologica dello sviluppo; vengono infatti considerati un fattore di rischio per un futuro disagio psicologico (Mugnaini et al. 2008).

I bambini con questa diagnosi hanno un concetto di sé più negativo, si sentono meno supportati emotivamente, provano più ansia e hanno poca autostima. Tendono inoltre a sentirsi meno responsabili del proprio apprendimento e a tollerare meno le frustrazioni abbandonando il compito alle prime difficoltà.

Tale atteggiamento viene spesso confuso da genitori e insegnanti con pigrizia e svogliatezza, creando così conflitti all’interno del contesto familiare e scolastico e alimentando il circolo vizioso per cui i continui fallimenti e rimproveri rinforzano un’immagine di sé negativa.

Spesso si riscontrano tratti ansioso-fobici, demoralizzazione, difficoltà relazionali, aggressività, isolamento sociale e oppositività. Possono inoltre verificarsi manifestazioni psicosomatiche come cefalea tensiva, vomito e algie addominali all’approssimarsi dell’orario scolastico o di prove orali/scritte.

In considerazione delle problematiche esposte, una diagnosi fatta nei tempi corretti assume un’importanza fondamentale per prevenire lo strutturarsi di un’immagine di sé negativa e l’esposizione ai continui fallimenti.

Per questo motivo è fondamentale che i professionisti e l’ambiente familiare/scolastico si attivino nel cercare di promuovere nel bambino e nel suo ambiente azioni di protezione da forme di disadattamento, e lo sostengano nell’accettazione della diagnosi e nell’uso di strumenti compensativi e dispensativi.

Vuoi saperne di più o hai riscontrato alcune delle difficoltà elencate in tuo figlio?

Il Centro la Trottola dispone di un’équipe accreditata per la prima certificazione diagnostica sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento, contattaci per avere un primo consulto gratuito e senza impegno chiamando il 3312212505 oppure scrivendo a centrolatrottola@gmail.com

Dott.ssa Alice Bellini, Logopedista

Dott.ssa Elisabetta Boschini, Psicologa e Psicoterapeuta

Basi alimentazione sana

Nello scorso articolo abbiamo imparato a comporre un pasto e approfondito il discorso relativo a carboidrati e proteine.

Oggi completeremo il Piatto Sano parlando di grassi, frutta, verdura e bevande.

UNA PORZIONE DI OLI SANI – i condimenti

Tra grassi “buoni”, olio extravergine e frittura

Le porzioni di grassi del piatto sano si riferiscono sostanzialmente ai condimenti: il nostro tanto decantato olio extravergine d’oliva.

Prima di parlare degli oli, però, cerchiamo di capire bene cosa intenda quando si parla di grassi alimentari.

I grassi sono macronutrienti fondamentali: dimagrimento o non dimagrimento, dobbiamo assumerli quotidianamente, senza temerli.

I grassi non fanno ingrassare. La dieta ipercalorica (e magari anche sbilanciata) sì.

Queste molecole svolgono funzioni basilari che vanno ben oltre alla nota funzione energetica: prendono parte alla struttura delle membrane cellulari, sono precursori di ormoni e veicolano l’assorbimento di micronutrienti importanti (come le vitamine liposolubili).

A livello di classificazione generica, si distinguono in insaturi e saturi a seconda che contengano o meno doppi legami al loro interno.

Il gruppo degli insaturi comprende i celebri polinsaturi della serie omega-3 e omega-6: la loro fama è dovuta al fatto che il nostro corpo non è in grado di autoprodurli e, pertanto, deve assumerli con l’alimentazione in rapporti ben precisi, che sono nell’ordine di 6:1 per omega-6:omega-3.

<<ma se sono buoni ne posso mangiare di più?>>
Il termine “buoni” non si riferisce alle loro calorie ma alle loro funzioni:
caloricamente parlando sono uguali a tutti gli altri grassi.

Attenzione alle mode: l’integrazione di omega-3 senza effettivo bisogno può essere dannosa.

Il gruppo dei grassi saturi comprende una serie di molecole il cui solo nome incute un certo timore: non ne abbiate eccessiva paura, nelle dosi raccomandate sono anzi assolutamente benefici per il nostro organismo. Il danno è unicamente associato a un eccesso alimentare.

Discorso analogo vale per il colesterolo.
Questo composto, a lungo bistrattato, riveste una certa rilevanza fisiologica come stabilizzatore delle membrane cellulari e precursore di acidi biliari, ormoni steroidei e vitamina D.
E adesso, rullo di tamburi…
Una dieta priva di colesterolo è tanto dannosa quanto una dieta che ecceda in colesterolo. Quindi vi prego, non abbiate paura del tuorlo dell’uovo.

Fino ad ora è filato tutto liscio…
Adesso arrivano quelli cattivi per davvero, i grassi trans, quelli delle merendine e dei prodotti confezionati. La loro struttura chimica non esiste in natura idrogenazione industriale o trattamenti termici intensi.
Qui non c’è dose che tenga: sono estremamente pericolosi per la salute e nello specifico predispongono l’organismo a patologie cardiovascolari e neurodegenerative.

La cottura dell’olio: quando i grassi si denaturano.

Qualsiasi processo tecnologico applicato a un alimento (dalla semplice cottura a processi più complessi) modifica inevitabilmente la struttura dei nutrienti contenuti al suo interno.

Quando si scalda un grasso (in particolar modo un olio o un burro) ad alte temperature (come per la frittura), bisogna fare in modo che non raggiunga il cosiddetto punto di fumo, temperatura alla quale iniziano a prodursi sostanze volatili dannose per l’organismo.

Più il punto di fumo è basso, più sarà bassa la temperatura
alla quale il grasso si denatura producendo composti tossici.

Quando la scoperta del punto di fumo ha spopolato, la maggior parte degli esperti ha iniziato a consigliare l’impiego di olio extravergine di oliva – da sempre il must del condimento a crudo – anche per le fritture.

Beh, a dir la verità qui è doveroso mettere qualche puntino sulle i.

L’olio extravergine d’oliva possiede una serie di caratteristiche (viene estratto per spremitura, non subisce raffinazioni, contiene le naturali impurezze…) che non gli permettono di avere un punto di fumo così elevato da poter sostenere adeguatamente una frittura prolungata.

Inoltre, la cottura dell’olio extravergine in generale può portare alla degradazione (termica) di alcuni microcomponenti importanti. Per questa ragione è preferibile – in generale – consumare olio a crudo (prediligendo la cottura al forno, al vapore, con acqua…).

Aspettiamo a disperarci, l’alternativa c’è e si chiama olio d’arachide: elevato punto di fumo, sapore piuttosto neutro e costo accessibile. Le ha tutte.

Ma allora… l’“olio per friggere” del supermercato?
Gli oli di semi che troviamo in commercio sono ricchi di grassi polinsaturi (quelli con tanti doppi legami) facilmente soggetti a perossidazioni: il calore attacca facilmente proprio quei doppi legami che li rendono così speciali.

I grassi fanno bene, alcuni tipi in particolar modo… ma in che dosi?

I LARN raccomandano un apporto dietetico pari al 20-35% dell’energia totale assunta. Questa quota è leggermente aumentata per bambini (per i quali si raggiunge il 40%), per gli sportivi e per soggetti in condizioni fisiologiche e fisiopatologiche specifiche.

La quota lipidica deve essere poi suddivisa e declinata tra le sue componenti (grassi polinsaturi, omega-3, omega-6…).

Ciò che è mandatorio è l’apporto dei grassi saturi al di sotto del 10% delle calorie totali giornaliere per tutte le classi di età e del colesterolo al di sotto dei 300 milligrammi al giorno, salvo patologie specifiche.

L’apporto di acidi grassi trans – quelli tanto cattivi – deve essere evitato il più possibile: non date le merendine ai bambini.

Cosa metto nel piatto?

I condimenti prescritti dal Piatto Sano si riferiscono all’olio extravergine d’oliva a crudo.

Le dosi giornaliere specifiche vanno personalizzate dal dietista competente in base alle caratteristiche fisico-cliniche del soggetto.
L’olio extravergine può essere poi sostituito nel pasto da altri alimenti fonti di grassi, a patto che non sia pratica quotidiana: sostituire quotidianamente l’olio extravergine con frutta secca o avocado sbilancerebbe il rapporto omega-6:omega-3 e l’apporto quotidiano di grassi monoinsaturi. Anche in questo caso, l’intervento di un professionista può fare la differenza.

Attenzione: la frutta secca e la frutta essiccata non sono la stessa cosa.
Si parla di frutta secca quando ci si riferisce a noci, nocciole, pinoli, mandorle, semi di zucca, semi di lino, semi di girasole e i semi e semini vari. Si parla di frutta essiccata quando ci si riferisce a frutta disidratata, come per datteri o prugne secche.

UNA PORZIONE DI FRUTTA E VERDURA – i contorni

Metà del piatto sano di Harvard è occupata da frutta e verdura.
Ma la frutta è davvero un contorno?

In realtà no.
In Italia, infatti, abbiamo rimosso la frutta dalla grafica del Piatto Sano di Harvard, fornendo la possibilità di poter scegliere se consumarla o meno.

Quindi…

Si può mangiare la frutta a fine pasto?

Sì, a patto che vengano rispettate le dosi giornaliere di zuccheri semplici e che non coesistano controindicazioni in merito (difficoltà di digestione, appesantimento post-prandiale, alterazioni a carico del metabolismo glucidico).

Insomma, il criterio di inserimento della frutta a fine pasto è in primo luogo il gradimento del paziente, in seconda battuta il suo stato di salute e la tollerabilità a questo inserimento.

Si può mangiare “tutta la frutta e verdura che vuoi”?

La frutta è ricca di zuccheri semplici che, qualora assunti in eccesso, predispongono il nostro corpo a una serie di patologie metaboliche anche gravi. In linea di massima, dunque, non è ragionevole mangiare tutta la frutta che vogliamo.

In Italia abbiamo importato la regola del five a day (cinque al giorno) americana, che prescrive l’assunzione di cinque porzioni di frutta e verdura al giorno.

Calcolando le due porzioni di verdura impiegate a pranzo e cena, restano tre porzioni di frutta al giorno.

Questo significa che ogni giorno dovrò mangiare tre frutti? Ovviamente no.

Il piano nutrizionale personalizzato è frutto di meticolosi calcoli che riguardano l’intera settimana.
Il professionista della nutrizione è consapevole del fatto che probabilmente un giorno mangerete un solo frutto, un giorno tre, un giorno due. È la media della settimana che fa la differenza.

Infine, il principio della stagionalità e dell’associazione di più colori possibili deve essere alla base della scelta di frutta e verdura. Ogni colore, infatti, corrisponde a una specifica classe di antiossidanti.

Più colori associamo, più antiossidanti introduciamo.

L’ACQUA E IL FABBISOGNO IDRICO

L’acqua è il principale componente del corpo umano, costituendo il 55-60% del peso corporeo nell’adulto e il 75% del peso corporeo nel neonato (chissà perché dicono che la pelle idratata rende giovani…).

Soddisfare il fabbisogno idrico è fondamentale per la nostra salute, per le nostre prestazioni cognitive e per quelle sportive.

Però… però la maggior parte di noi non beve abbastanza.

Quanta acqua al giorno? Il fabbisogno idrico.

L’acqua che riusciamo ad assorbire proviene dalle bevande, dagli alimenti e dal metabolismo dei nutrienti (acqua metabolica o endogena).

Il fabbisogno minimo di acqua viene definito come il quantitativo che garantisce l’equilibrio con le perdite (urine, sudore, feci, vomito…), previene gli effetti negativi della disidratazione e garantisce l’eliminazione del carico renale potenziale dei soluti.

I fabbisogni espressi dai LARN tengono conto della quota di acqua assunta con alimenti e bevande (non è compresa la quota di acqua metabolica, difficile da stimare) che è pari a 2 Litri – 2 Litri e mezzo per donne e uomini, leggermente maggiore per donne in gravidanza e allattamento e pari a 800mL al giorno per i lattanti.

Attenzione: la maggior parte di noi non solo non beve abbastanza, ma non sa bere.

Non bere neanche un goccio d’acqua nel corso dell’intera giornata e soddisfare il vostro fabbisogno idrico in un solo pasto non equivale a fare il vostro bene.

Don’t drink your calories: le bevande zuccherate e gli alcolici.

Gli alcolici e le bibite, si sa, piacciono tanto. Ricordano le feste, gli amici, le cene.

Come anche nelle migliori storie, però, c’è anche l’altra faccia della medaglia.

Don’t drink your calories è un motto americano che si riferisce alla raccomandazione di evitare l’assunzione di bevande zuccherate (anche quelle “solo zuccheri della frutta”, mi raccomando).

Non esiste alcun beneficio valido per preferire le bevande zuccherate o gli energy drinks all’acqua: questi prodotti apportano calorie vuote (calorie senza nutrienti), non dissetano, alterano la glicemia e – anche nelle loro varianti a basso contenuto calorico stimolano l’organismo a volere ancora più zucchero.

Zucchero (o edulcorante) che richiama zucchero.

Il consumo di acqua va preferito anche all’assunzione di alcool, l’etanolo, sostanza non nutriente a contenuto calorico pari a 7 Calorie su grammo di prodotto (maggiore di carboidrati e proteine).

Un eccessivo consumo di alcolici aumenta il rischio di patologie quali cancro, ipertensione, pancreatite cronica, patologie epatiche, neuropatie neurodegenerative… e incidenti.

Di norma, si definisce come non rischiosa l’assunzione di una unità alcolica al giorno per la donna e due per l’uomo.

Alcune condizioni fisiologiche e/o patologiche richiedono l’astensione totale e tassativa dal consumo di bevande alcoliche di qualsiasi tipo: donne in periodo pre-gravidico, gravidanza e allattamento, soggetti di età inferiore ai 18 anni, epatopatie, patologie digestive, dipendenze, assunzione di farmaci particolari.

Per il resto, una dieta bilanciata può ammettere il consumo contenuto di alcolici anche in regime di dimagrimento.

Si può bere acqua durante il pasto?

Sì, a patto che non sussistano patologie o disturbi digestivi particolari.

IL PASTO COMPLETO: qualche esempio

Con questi due articoli e il Piatto Sano alla mano, abbiamo tutti gli strumenti per poter comporre un pranzo o una cena bilanciati.

Pasta, legumi e insalata verde.
Pane, affettato e carote.
Riso, pesce e pomodori.
Pasta al pomodoro con un cucchiaio di formaggio grattugiato.

Il tutto condito con olio extravergine d’oliva a crudo, nelle giuste dosi.

Il piatto sano di Harvard ragiona per porzioni e, in particolare, per volume di porzione. Per conoscere la grammatura cui corrisponde alla tua porzione, sono necessari i calcoli di un professionista della nutrizione (dietista, dietologo o biologo nutrizionista) che assicurino il soddisfacimento dei fabbisogni di energia, macronutrienti e micronutrienti.

Per richiedere una consulenza e un piano nutrizionale personalizzato o semplicemente approfondire l’argomento, presso il Centro La Trottola puoi contattare la Dietista Dott.ssa Alessia Campopiano scrivendo a centrolatrottola@gmail.com

Riferimenti:

SINU – Società Italiana di Nutrizione Umana, Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia (LARN), revisione del 2012

alimentazione sana

Vi siete mai chiesti cosa significhi davvero seguire una “alimentazione sana”?

Provate a fermare cento passanti e chiedeteglielo: avrete quasi certamente cento risposte diverse.

mangiare alimenti non trattati”, “mangiare tanta frutta e verdura”,
 “mangiare poco di tutto”, “non mangiare schifezze”.


Tra le opinioni di chi ci circonda, le pubblicità, i vari green, bio, senza questo e senza quello, è difficile capire davvero come condurre una alimentazione sana.

In questo articolo cercheremo di capire come si debba strutturare un pasto completo e bilanciato, approfondendo in particolar modo due categorie di nutrienti: carboidrati e proteine.

Le regole generali di un’alimentazione sana:
dalla Piramide Alimentare al Piatto Sano

Non esiste una dieta che vada bene per tutti, ma esistono delle regole semplici e intuitive per approcciarsi a una alimentazione sana e consapevole.

Le Linee Guida nazionali e internazionali possono essere riassunte da Il Piatto del Mangiar Sano (Il Piatto Sano) pubblicato dalla Harvard School of Public Health.

Il Piatto Sano ci insegna che una porzione di cereali integrali, una di proteine, una di frutta e verdura e, a parte, condimenti e acqua dovrebbero essere sempre presenti, a ogni pasto.
Queste porzioni sono da intendere in senso volumetrico: la quantità precisa e la sua relativa grammatura sono da personalizzare con uno schema dietetico personalizzato.

UNA PORZIONE DI CEREALI  – il primo piatto

La porzione di cereali è fonte di carboidrati, la principale fonte energetica.

I carboidrati sono la nostra benzina.

Secondo quanto detto prima, essi dovrebbero essere presenti a ogni pasto.
Avete letto bene: carboidrati sia a pranzo che a cena.

Il Piatto Sano specifica che la porzione di carboidrati dovrebbe essere offerta dai cereali integrali.
Il prodotto integrale assolve una serie di funzioni importanti quali la regolazione del transito intestinale e del metabolismo di alcuni nutrienti grazie al maggior apporto di fibre alimentari.

Il termine “integrale” si riferisce infatti alla struttura “intatta” del chicco intero, dal quale non vengono rimossi gli strati più esterni (processo tipico della raffinazione: immaginatela come una spazzolatura del chicco di cereale).
L’integrale contiene più fibre, proteine e micronutrienti perché non ne viene privato.
Non è la versione “dietetica” o “light”.

I benefici del prodotto integrale sono appurati.
Nonostante ciò, è bene specificare che la variante integrale non sia quella migliore in assoluto: esistono patologie e condizioni fisiopatologiche (soprattutto a carico dell’intestino: vedasi sindrome dell’intestino irritabile) in cui il prodotto integrale risulta addirittura controindicato.
Anche in questo risiede l’importanza della personalizzazione della dieta.

I carboidrati che non fanno ingrassare

I carboidrati, lo sappiamo bene, sono stati per diverso tempo ingiustamente etichettati come causa dell’aumento di peso.

Ancora oggi si sente dire che “per dimagrire o asciugarti non mangiare gli alimenti che iniziano per P”, riferendosi a pane, pasta e patate.

Questo è un bel mito da sfatare.
Prima di farci aumentare di peso “creando nuovo grasso” (lipogenesi), i carboidrati alimentari devono assolvere una serie di altre funzioni seguendo vie metaboliche ben precise.

La prima di queste funzioni è fornire energia a rapido utilizzo (andando a ripristinare la quota di glucosio in circolo nel sangue, la glicemia).

Una volta ripristinata la glicemia, il glucosio assorbito dagli alimenti viene impiegato per ricostruire le riserve di glicogeno (carboidrato di riserva, stoccato nel muscolo e nel fegato) che sono state precedentemente perse nel digiuno e/o durante un’attività sportiva.
Solo una volta svolte queste mansioni e solo qualora l’assunzione di carboidrati alimentari sia effettivamente in eccesso, essi vanno a produrre nuoveriserve di grasso corporeo.

Attenzione ora: i carboidrati diventano un problema se assunti davvero in eccesso… ma anche se assunti davvero in difetto: cosa succede alla macchina quando resta senza benzina?

In linea di massima possiamo dire che sia importantissimo assumere carboidrati sia a pranzo che a cena e possiamo essere certi che questo, nelle giuste porzioni, non andrà in alcun modo a ostacolare il dimagrimento.

Pane, pasta, riso o patate. Assicuriamoci di assumere
sempre una quota di carboidrati: non ci farà ingrassare.

Un grammo di carboidrati fornisce la stessa quota calorica di un grammo di proteine

Perché vi hanno detto di sostituire i carboidrati con le proteine per dimagrire (dieta iperproteica a basso apporto glucidico)?
Non ne abbiamo idea.

Cosa sono e quali sono i carboidrati

In base alla struttura chimica, i carboidrati si distinguono in carboidrati complessi (amidi, fibre e glicogeno) e zuccheri semplici (più comunemente chiamati zuccheri: glucosio, fruttosio, galattosio…).

I carboidrati complessi possono essere immaginati come una collana di perle in cui ogni perla rappresenta una molecola di glucosio (lo zucchero semplice per eccellenza):
ogni volta che ingeriamo carboidrati complessi, il corpo deve spezzare questa collana (con la digestione) per farci ottenere le singole perle (zuccheri semplici, le molecole di glucosio).
Questo processo è fondamentale perché il nostro intestino è in grado di assorbire prevalentemente solo il glucosio, la singola molecola, la perla.
Il lavoro della digestione (staccare le perle per farcele assorbire) implicherà del tempo e farà in modo che al nostro corpo venga rilasciato glucosio a dosi più o meno regolari.

Lo zucchero semplice, non avendo necessità di essere digerito, viene rapidamente assorbito in quanto tale e raggiunge così il circolo ematico, determinando un rialzo della glicemia tendenzialmente più rapido e intenso rispetto alla dose di carboidrato complesso.

La differenza tra carboidrati complessi e zuccheri semplici è una differenza strutturale
che si ripercuote sulla velocità di assorbimento del glucosio
e che determina quanta energia ci verrà fornita e per quanto tempo.

Uno sguardo sui carboidrati complessi: amido, glicogeno e fibre

L’amido è il carboidrato complesso contenuto in pasta, patate, pane, gallette, fette biscottate, polenta (farina di mais), crackers e tutti i prodotti derivati dai cereali.

Il glicogeno è il carboidrato complesso di riserva che si trova nel fegato e nei muscoli animali.

Le fibre sono carboidrati complessi indigeribili (non riusciamo a spezzare la collana) contenuti nei prodotti vegetali. Non potendo essere in alcun modo digerite, le fibre non possono essere impiegate a scopo energetico ma vengono utilizzate per regolarizzare il transito intestinale e modulare l’assorbimento di determinati nutrienti.

Uno sguardo sugli zuccheri semplici

Gli zuccheri semplici sono molecole contenute nello zucchero da cucina (saccarosio), nella frutta, nelle marmellate, nel miele e nei dolcificanti naturali; in piccole dosi anche nel latte e nello yogurt.

Parliamo di zucchero sia quando zuccheriamo il caffè che quando mangiamo un frutto.

Quanti carboidrati e quanti zuccheri?

Secondo i Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia (LARN), le Linee Guida che stanno alla base di un piano nutrizionale etico e bilanciato, la quota di carboidrati da assumere con la dieta deve essere pari al 45-60% delle calorie introdotte giornalmente. Questa quota va ulteriormente personalizzata per gli sportivi o per trattamenti dietoterapici specifici.

Gli zuccheri semplici dovrebbero essere introdotti in quantità limitata, al di sotto del 15% delle calorie giornaliere.
Si consiglia inoltre la limitazione dell’utilizzo del fruttosio come dolcificante e del consumo di bevande e alimenti formulati con fruttosio, sciroppi e fonti di zuccheri che possono gravare sull’introito totale giornaliero.

L’introito di fibra giornaliero (frutta, verdura, legumi) è estremamente variabile e da personalizzare. I LARN parlano di 8,4 grammi ogni 1000 Calorie per i bambini e di 12,6-16,7 grammi ogni 1000 Calorie per gli adulti.

Una ulteriore personalizzazione riguarda il timing di introduzione dei carboidrati, importante in particolar modo per gli obiettivi di performance sportiva e ricomposizione corporea in sportivi e atleti.
Si parla di timing di un nutriente per riferirsi a quando mangiare e cosa per ottenere gli obiettivi desiderati.

Carboidrati: cosa metto nel piatto?

I carboidrati si trovano in pane, pasta, patate, riso, gallette, polenta o grissini.
È possibile associare due diverse fonti di carboidrati a pasto (come ad esempio pane e pasta) a patto che ne vengano modulate le quantità.

UNA PORZIONE DI PROTEINE  – il secondo piatto

La porzione di proteine idealmente identifica il secondo piatto.

Le proteine costruiscono, sono i mattoncini che compongono il nostro corpo (pelle, muscoli, ossa, sistema immunitario, ormoni, enzimi…) e per questo sono imprescindibili.

Strutturalmente e chimicamente parlando sono catene di amminoacidi di cui alcuni (i nove amminoacidi essenziali) non possono essere auto-prodotti da noi e devono quindi essere necessariamente assunti con la dieta.

Le proteine sono una catena di amminoacidi:
gli amminoacidi sono i “mattoncini” che le compongono.

Il ruolo nutrizionale delle proteine alimentari rispecchia il ruolo nutrizionale degli amminoacidi che le formano.

Le fonti proteiche: le proteine di origine animale e vegetale

Le fonti proteiche si distinguono in fonti animali (carne, pesce, uova, latte e derivati, affettati) e vegetali (legumi). La differenza fondamentale è che le fonti proteiche animali sono più biodisponibili di quelle vegetali: in poche parole, a parità di quota proteica ingerita, c’è maggior assorbimento effettivo della fonte animale.

La inferiore biodisponibilità delle fonti vegetali diventa un problema solo se non si agisce prevenendo il problema stesso.
In dietoterapia ricorriamo spesso alla complementazione, la pratica di associare (nello stesso pasto o nella stessa giornata alimentare) fonti proteiche vegetali che si completino a vicenda.

L’ esempio tipico è quello dei legumi e cereali (come per la pasta e fagioli delle nostre nonne).

La complementazione proteica è di estrema importanza per le diete vegetariane e vegane.
Tuttavia, non è la condizione necessaria e sufficiente
 per evitare una malnutrizione proteico-energetica.


Gli alimenti fonti di proteine non devono solo essere presenti.
Essi devono essere variati nel corso dell’intera alimentazione settimanale nelle giuste porzioni e con le giuste frequenze: l’eccesso di una fonte rispetto alle altre può portare, anche in questo caso, a danni più o meno gravi.

Il “secondo piatto” non è mai un alimento mononutriente:
contiene proteine e anche altri micro e macronutrienti che andranno correttamente bilanciati.

Si possono mescolare fonti di proteine animali e vegetali?

Un mito da sfatare sull’argomento “proteine” è quello della presunta impossibilità di mescolare fonti proteiche animali e vegetali: questa è un’informazione del tutto fuorviante.

Il nostro corpo riconosce la molecola chimica, indipendentemente dalla fonte con cui viene introdotta.
Legge gli amminoacidi, non se questi arrivino da un fagiolo o una fetta di carne.

In altre parole, se al nostro corpo serve un amminoacido in particolare, poco gli importerà che questo provenga da fonti diverse: l’importante è ottenerlo.

Quante proteine?

La questione della quota proteica da assumere con la dieta è da tempo fonte di controversie.

Dalla dieta Dukan a quella dieta dissociata, dalla dieta a zona ai regimi low-carb non si è più compreso se fosse davvero un bene o un male mangiare iperproteico.

I LARN per le proteine sono definiti sulla base del fabbisogno proteico minimo, ovvero la quota proteica più bassa da assumere per mantenere la massa proteica dell’organismo.

Il valore è di 0,9 grammi su chilogrammo di peso corporeo al giorno, da incrementare leggermente per bambini, gravidanza, allattamento, sportivi e condizioni fisiopatologiche specifiche.

Per quanto riguarda i bambini, è opportuno che questi non ricevano una dieta iperproteica (che ecceda i loro fabbisogni): essa si è dimostrata predisporre a maggior rischio di obesità in età adulta.
Inoltre, un’elevata quota proteica nel primo anno di vita può interferire con la funzionalità renale.

Proteine: cosa metto nel piatto?

Le fonti proteiche sono carne, pesce, uova, legumi, affettati, latte e derivati.
Queste devono essere variate nelle giuste porzioni e con le giuste frequenze nel corso della settimana: l’eccesso di una fonte rispetto alle altre può portare a danni per la salute anche gravi.

I luoghi comuni sulle diete iperproteiche ci hanno portato nel tempo –anche inconsciamente- ad assumere quote di “secondo piatto” sempre più abbondanti di quanto raccomandato: un professionista della nutrizione vi saprà guidare e istruire sulla porzione corretta a soddisfare i vostri fabbisogni senza superare l’eccesso.

Un pasto completo e bilanciato dovrebbe contenere, oltre a carboidrati e proteine, una porzione di condimenti sani e – secondo il modello di Harvard – una di frutta e verdura.
Nel prossimo articolo approfondiremo il discorso su condimenti, frutta e verdura e parleremo delle bevande da inserire nell’alimentazione di tutti i giorni.

È importante considerare che il Piatto Sano di Harvard ragiona per porzioni e, in particolare, per volume di porzione. Per conoscere la grammatura cui corrisponde alla tua porzione, sono necessari i calcoli di un professionista della nutrizione (dietista, dietologo o biologo nutrizionista) che assicurino il soddisfacimento dei fabbisogni di energia, macronutrienti e micronutrienti.

Per richiedere una consulenza e un piano nutrizionale personalizzato o semplicemente approfondire l’argomento, presso il Centro La Trottola puoi contattare la Dietista Dott.ssa Alessia Campopiano scrivendo a centrolatrottola@gmail.com