Insegnanti efficaci

Corso di aggiornamento Professionale sulla relazione interpersonale e sulla comunicazione

Descrizione del corso

Il corso Insegnanti Efficaci è la versione italiana di Teacher Effectiveness Training. Assieme ai corsi paralleli per genitori e per giovani esso si basa sul modello formativo dell’ Effectiveness Training International. ideato da Thomas Gordon, allievo di Carl Rogers, e diffuso in tutto il mondo dai suoi numerosi collaboratori.

Il corso Insegnanti Efficaci si prefigge di sviluppare o migliorare la sensibilità e le competenze necessarie per affrontare con successo i complessi e molteplici aspetti della vita scolastica. Esso unisce la psicologia umanistica di Carl Rogers con la riflessione pedagogica, la ricerca metodologica e le tecniche didattiche più avanzate, nella definizione di un modello di aggiornamento professionale capace di massimizzare e ottimizzare la qualità dell’esperienza scolastica e il tempo di lavoro effettivamente utile e significativo, riducendo al minimo il malessere delle persone.

A tal fine il corso valorizza la sensibilità e la tendenza formativa presente nelle persone e facilita l’acquisizione delle competenze necessarie per risolvere i numerosi e complessi problemi di relazione e di comunicazione che insorgono quotidianamente nel contesto della scuola.

Tali abilità, una volta acquisite, facilitano realmente la soluzione dei problemi e progressivamente contribuiscono alla creazione di un clima di lavoro salutare, soddisfacente e produttivo per l’intera comunità scolastica. Un ulteriore vantaggio è nella possibilità di trasferire tali capacità relazionali in altri contesti come la famiglia, il lavoro, le amicizie.

Ciò che distingue questo corso da numerose altre proposte formative è il suo obiettivo di unire il pregio della sistematicità e compiutezza a quello della relativa brevità del tempo di aggiornamento, il tutto a costi facilmente accessibili.

Caratteristiche

E necessario innanzitutto precisare che quello che viene qui presentato, diversamente dalla utilizzazione parziale che ne è stata fatta finora in Italia, è il programma originale e completo così come è stato elaborato da Thomas Gordon e come viene attualmente diffuso e applicato in altre nazioni.
Il corso è tenuto esclusivamente da persone formate e autorizzate da Effectiveness Training Inc.. In Italia tali persone sono certificate dall’Istituto dell’Approccio Centrato sulla Persona (IACP) che ha l’esclusiva del metodo.

Insegnanti Efficaci è un corso breve (durata minima di 24 ore) di aggiornamento organico e integrato, che ha per destinatari docenti, animatori e educatori, e chiunque debba esercitare nel suo ambito attività di insegnamento.

Questo corso è forse il programma di maggior successo che sia mai stato indirizzato agli insegnanti allo scopo di migliorare la conduzione della classe, il controllo della disciplina e la capacità di comunicazione interpersonale, di risolvere i conflitti e incrementare la consapevolezza nel campo dei valori e delle scelte.
Dal suo inizio ad oggi si sono formati in questo metodo oltre un milione di insegnanti e formatori di oltre trenta paesi del mondo.

Il Teacher Effectiveness Training, realizzato da Gordon nel 1966, si basa sul pensiero e sulla prassi educativa di Carl Rogers e integra l’approccio umanistico con tecniche didattiche avanzate. Esso è strutturato in modo da proporre contemporaneamente e in maniera integrata il livello della teoria e quello della esperienza ed ha pertanto una valenza cognitivo-esperienziale.

Esso deriva da numerose e qualificate esperienze di ricerca pedagogica, e si compone di una serie di metodi che i partecipanti possono apprendere e applicare nel loro lavoro come nella loro vita.

E’ opportuno sottolineare che, al di là dei metodi e delle tecniche, è di fondamentale importanza che i partecipanti comprendano e condividano i principi concettuali a cui essi si ispirano: una filosofia decisamente democratica, centrata sul rispetto delle persone, e basata sulla convinzione che in caso di conflitto non è giusto che a vincere sia solo una delle due parti in causa (ad esempio: l’adulto o l’adolescente). Una soluzione produttiva viene raggiunta solo quando entrambi si sentono vincenti perché hanno veramente collaborato nella comprensione del problema e nella ricerca delle soluzioni, un clima di autentica condivisione del potere e della responsabilità.

Obiettivi

Obiettivi generali

Lo scopo principale del corso Insegnanti Efficaci è quello di sviluppare e affinare la competenza relazionale degli insegnanti di ogni ordine e grado. Vuole formare “insegnanti efficaci” nella comunicazione educativa, intendendo per efficacia la capacità di esercitare una effettiva, concreta influenza sugli allievi senza far ricorso all’uso del potere.

Più in particolare lo scopo di questo corso è quello di incrementare la qualità e la quantità di tempo dedicato nella scuola al processo di insegnamento/apprendimento facendo risparmiare a insegnanti, allievi e responsabili della scuola tempo ed energie facilmente dispersi per far fronte ai problemi e ai conflitti presenti nelle classi e nella scuola.

insegnanti efficaci

Obiettivi specifici

Gli obiettivi del corso possono essere chiaramente compresi se si fa riferimento alle seguenti competenze relazionali che i partecipanti hanno l’opportunità di apprendere, e che costituiscono di fatto il contenuto del corso:

  1. Osservare e descrivere oggettivamente il comportamento, proprio e degli altri, evitando l’uso di etichette, valutazioni e giudizi personali fuorvianti.
  2. Identificare le aree problematiche ed apprendere ad attribuire correttamente, in situazioni conflittuali, la competenza dei problemi a noi o agli altri al fine di individuare una via di soluzione.
  3. Apprendere nuove e più efficaci modalità di ascolto e comprensione empatica al fine di avviare in modo utile una relazione di aiuto.
  4. Confrontarsi positivamente e produttivamente con gli altri, specialmente nelle situazioni in cui gli altri hanno comportamenti per noi “inaccettabili”, esprimendo in modo chiaro e congruente fatti, pensieri e sentimenti.
  5. Esprimere liberamente le proprie emozioni e le proprie opinioni senza ferire o ingannare l’
  6. Saper integrare le capacità di ascolto e di confronto precedentemente apprese.
  7. Apprendere come e quando impiegare metodi “democratici” nella risoluzione dei conflitti, al fine di individuare soluzioni comuni che rispondano ai bisogni di tutte le parti in causa.
  8. Offrire opzioni efficaci a risolvere le collisioni di valori.
  9. Struttura del corso

Il Corso è di­viso in otto moduli:

1° modulo

  • Presentazione del corso e degli obiettivi.
  • Analisi delle aspettative e dei bisogni dei partecipanti.
  • Definizione del comportamento. Comportamenti dell’
  • Come capire il comportamento delle persone.
  • Il rettangolo del comportamento.
  • Come riconoscere, affrontare e risolvere i problemi.
  • Di chi è il problema?

2° modulo

  • Come prestare ascolto e attenzione all’
  • Le barriere alla comunicazione.
  • La teoria della comunicazione.

3° modulo

  • Le caratteristiche di una relazione di aiuto.
  • L’ascolto passivo.
  • L’ascolto attivo.
  • L’

4° modulo

  • Come ottenere ascolto e attenzione dagli altri.
  • I messaggi in prima persona.
  • Il confronto e l’assertività.
  • Genuinità e empatia.

5° modulo

  • Come trattare la resistenza al cambiamento.
  • La teoria dell’iceberg: cosa c’è sotto l’ira?
  • La teoria dei bisogni di Maslow.
  • Il cambio di marcia.

6° modulo

  • Come risolvere gli inevitabili conflitti in modo che tutte le parti in causa si sentano rispettate.
  • Conflitti su bisogni concreti e collisioni di valori.
  • Stili di risoluzione dei conflitti.
  • Come lavorare efficacemente in team.

7° modulo

  • Uso del potere.
  • Metodi I e II: aspetti positivi e aspetti negativi.
  • Come rendere produttiva la conflittualità.
  • Il metodo III.

8° modulo

  • Come promuovere l’autocontrollo e l’
  • Come modificare l’ambiente scolastico.
  • Come trattare le collisioni di valori.
  • Le opzioni ad alto e a basso rischio per la relazione.

Metodologia

Il corso Insegnanti Efficaci si ispira ai modi di essere” e agli atteggiamenti facilitanti” di Carl Rogers e si presenta come un corso strutturato, con sequenze temporali precise e ricco di materiale didattico. Attua una forma di apprendimento attiva e impegna i partecipanti nella diretta esperienza dei concetti e delle abilità insegnate. Facilita la condivisione di esperienze e l’espressione di idee, dubbi e problemi.

Il processo di apprendimento si svolge lungo un cammino articolato in quattro momenti essenziali:

Strutturare le varie attività: si tratta di una breve presentazione dei contenuti e degli obiettivi di ogni modulo, con l’uso di sussidi audiovisivi.

Interessare i partecipanti con l’uso di role play, di ricordo guidato di importanti esperienze, di riflessioni scritte, di esercizi, di casi esemplari, di laboratori esperienziali effettuati in coppie, triadi, piccoli gruppi.

Discutere quanto appreso condividendo in piccoli e grandi gruppi le intuizioni e le nuove tecniche apprese.

Applicare quanto imparato e sperimentato nelle proprie attività personali e professionali, esercitandosi con il personale della propria scuola, in famiglia ecc. e cominciando a pianificare l’uso costante delle abilità apprese nel proprio lavoro.

Materiale didattico

I partecipanti utilizzeranno un quaderno di lavoro (workbook) appositamente predisposto. Alla fine del corso ogni partecipante riceverà un certificato di partecipazione.

Organizzazione

Il corso ha una durata di 24 ore suddivise in 8 incontri di 3 ore ciascuno oppure in 4 incontri di 6 ore ciascuno. Soluzioni differenti possono essere concordate.

Formatore

Il corso sarà tenuto dalla Dott.ssa Simona Volpi Psicologa – Psicoterapeuta individuale e di gruppo dell’Approccio Centrato sulla Persona – Formatrice Gordon.

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tutor dell'apprendimento

Sempre più spesso i genitori di bambini e ragazzi con certificazione di DSA, ADHD e BES denunciano una fatica nellʼaiutare i propri figli ad eseguire i compiti a casa ed una difficoltà a stimolare un metodo di studio vicino alle loro necessità.

Dʼaltro canto i bambini e i ragazzi con difficoltà dʼapprendimento vivono una discrepanza tra lʼimpegno messo nello studio e i risultati ottenuti che genera in loro sempre più insicurezza e senso di incapacità.

Negli ultimi anni, parallelamente ad un incremento di diagnosi di DSA, ADHD e BES nelle loro varie forme, si è costituita una nuova figura professionale di supporto allo studio: il tutor dellʼapprendimento.

Il percorso dello studente in difficoltà: dove si colloca il tutor?

Gli studenti con difficoltà di apprendimento presentano storie e percorsi assolutamente distinti ed eterogenei tra loro. Tuttavia, risulta essere spesso la scuola ad esplicitare per prima le criticità scolastiche dello studente e a segnalare alla famiglia la necessità di approfondimenti tramite una valutazione degli apprendimenti.

La valutazione ed eventualmente la diagnosi devono essere svolte da unʼequipe specializzata (Neuropsichiatra infantile, Psicologo e Logopedista) presso lʼASST di competenza o presso centri privati accreditati.

Una volta in possesso di una valutazione/certificazione si possono aprire vari scenari:

  • lʼintervento di trattamento/riabilitazione che viene svolto secondo le difficoltà emerse da specifiche figure professionali (psicologo, logopedista, neuro-psicomotricista) con lʼintento di potenziare le abilità di base del bambino/ragazzo;
  • intervento scolastico con lʼattivazione di un piano di intervento personalizzato (PDP) che varia in base alla tipologia di difficoltà e in riferimento a determinati apparati normativi (Legge 104, Legge 170, normativa BES) e che serve ad adeguare le modalità di apprendimento del bambino/ragazzo, considerando le difficoltà emerse.

Tuttavia va ricordato che anche difficoltà compensate non spariscono del tutto!

Per questo, generalmente, per gli studenti che abbiano già usufruito degli interventi sopracitati, acquistano importanza lʼintroduzione di strumenti compensativi e percorsi di tutoring o potenziamento attraverso lʼaiuto di un tutor dellʼapprendimento.

Il tutor, quindi, è una figura che si affianca sia alla scuola sia alla famiglia per promuovere strategie di studio efficaci, per insegnare lʼuso di strumenti compensativi e per supportare lo studente nelle difficoltà di apprendimento delle discipline.

Le caratteristiche del tutor dellʼapprendimento: chi è e chi non è?

La recente nascita di questa figura professionale può comportare non poca confusione, facciamo chiarezza!

Il tutor dellʼapprendimento NON è:

  • un insegnante: non definisce i programmi della classe e gli obiettivi da raggiungere, ma piuttosto si affianca allo studente per trovare strade sempre più efficaci affinché questi vengano raggiunti;
  • un docente di ripetizioni: non ripercorre passaggi o affronta nuovamente gli argomenti trattati a scuola ma piuttosto si affianca allo studente per affrontare difficoltà più generalizzate (organizzative, motivazionali, di atteggiamento);
  • uno psicologo: non analizza la sfera psicologica o relazionale ma piuttosto tiene conto delle dinamiche emotive e psicologiche dello studente nel suo lavoro e considera i legami tra apprendimento e dimensione emotiva;
  • un aiuto-compiti: non trasmette conoscenze o abilità ma piuttosto si affianca allo studente per trovare insieme percorsi efficaci per rispondere proprio alle richieste quotidiane della scuola.

Il tutor dellʼapprendimento è un professionista che:

  • utilizza un approccio mirato, strategico, di supporto, finalizzato allo svolgimento dei compiti e al raggiungimento degli obiettivi scolastici;
  • riconosce le difficoltà dʼapprendimento e le affronta con lo studente tramite la promozione, la condivisione e lʼuso consapevole di nuove strategie e strumenti per rendere efficace lo studio;
  • è di esempio nella modalità di approccio al compito e allo studio affinché lo studente diventi pienamente partecipe e autonomo nel suo percorso di apprendimento;
  • migliora il proprio lavoro attraverso il continuo confronto con gli altri (specialisti, insegnanti, genitori) collaborando attivamente per il raggiungimento dellʼautonomia nello studio dello studente e per lʼautogestione delle sue difficoltà.

Per quali studenti in difficoltà può essere utile un tutor dellʼapprendimento?

Il tutor dellʼapprendimento può essere un valido supporto:

  • per chi ha ricevuto una diagnosi e vuole comprendere come affrontarla con serenità a scuola e in famiglia (DSA, ADHD, lieve deficit cognitivi, altri disturbi che rientrano nella normativa BES);
  • per chi non ha una diagnosi, ma “fa faticaˮ a scuola (poche strategie, lentezza, iper-controllo);
  • per chi ha difficoltà in un ambito specifico (organizzazione dello studio, pianificazione, comprensione, calcolo matematico);
  • per chi vuole imparare ad usare gli strumenti compensativi (mappe concettuali, calcolatrice, formulari, programmi informatici).

I compiti per tuo figlio sono ogni volta un incubo difficile da affrontare, gli insegnanti credono che non si applichi abbastanza nello studio, tu genitore non sai più come aiutarlo?

Il Centro la Trottola dispone di questa nuova figura professionale, la dott.ssa Livia Calderaro, che sarà disponibile a darti maggiori informazioni su come aiutare tuo figlio nei compiti a casa e nello studio in generale e su come intraprendere un lavoro personalizzato che gli faccia vivere con serenità le difficoltà imparando un metodo di studio efficace che gli faccia raggiungere lʼautonomia.

Contattaci per fissare un primo appuntamento o un colloquio conoscitivo senza impegno scrivendo a centrolatrottola@gmail.com

Bambini e verdure

 L’alimentazione infantile è un’area grigia per molti genitori: un guazzabuglio di dubbi e perplessità all’interno del quale orientarsi risulta spesso più difficile di quanto si immagini.

Nutrire un figlio è infatti al giorno d’oggi tutto fuorché una passeggiata.

La tematica che tratterò con il presente articolo è interamente dedicata alla nutrizione infantile, in particolare relativamente al complicato binomio di bambini e verdure.

Bambini e verdure: una relazione difficile?

L’età infantile è un’età complessa.

L’approccio alla vita, la crescita e il cambiamento portano con sé un dinamismo tale che, come i genitori ben sanno, è sempre difficile potersi rilassare completamente.

Ogni progresso è il nuovo punto di partenza per un nuovo sviluppo.

In questa fase della vita non è infrequente che il bambino esprima ripetuti rifiuti quando gli vengono presentati determinati alimenti (spesso ciò accade con quegli alimenti che noi adulti reputiamo più “salutari”: scopriremo che non è un caso).

Tra gli alimenti più frequentemente rifiutati dai bambini, primeggiano frutta e verdura: oggigiorno in percentuali piuttosto preoccupanti.

Le verdure sono, come ben sappiamo, fondamentali per la salute di grandi e piccini. Infatti l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda un apporto minimo di cinque porzioni tra frutta e verdura (“five a day”) per la popolazione sana.
Tuttavia i dati ad oggi disponibili riportano che meno del 10% dei bambini al di sotto degli 8 anni, e meno del 30% dei bambini al di sotto dei 12 anni, consumano effettivamente le porzioni di verdura sopra citate.

Bambini e cibo: perché i rifiuti?

Un primo approccio alla neofobia alimentare.

Il fatto che l’approccio a frutta e verdura sia così intricato nei bambini, si correla in primo luogo a una tendenza ampiamente nota alla comunità scientifica: la neofobia alimentare.

Per “neofobia alimentare” in generale si intende la riluttanza, da parte degli animali onnivori, a ingerire cibi nuovi o poco conosciuti. E il picco di insorgenza si situa tra i due e i sei anni di età.

Sembrerebbe che alla base di questa innata tendenza risieda l’istinto di conservazione della specie, ossia preferenza di alimenti che si è certi non siano nocivi e non provochino danni alla salute.

Insomma, il rifiuto innato del cibo si concretizza nella paura che questo  possa ledere l’individuo.

I bambini neofobici consumano solo pochissime tipologie di frutta e verdura: in questo caso vale la regola del “anche se è poco, è sempre verdura”?

Per quanto sia effettivamente ragionevole che “poco” sia meglio che “niente”, non possiamo dire che assumere un solo tipo di ortaggio sia uguale ad assumerne una varietà.

Consumare una sola tipologia di verdura significa, infatti, privarsi a priori di una serie di micronutrienti essenziali che corrispondono ai diversi colori assunti dagli ortaggi.

Ad esempio: le carote sono ricche di vitamina A, mentre la verdura a foglia verde è ricca di folato. Quindi se consumare solo carote significherebbe incorrere in deficit di folati, mangiare solo spinaci significherebbe essere in deficit di vitamina A.

Purtroppo non possiamo rassegnarci al fatto che nostro figlio mangi solo un ortaggio, ma possiamo dire che il consumo di un solo tipo ci avvicina all’obiettivo di consumarne un più vasto assortimento.

Il rifiuto di frutta e verdura:

conoscere le cause.

La neofobia alimentare è sempre più diffusa, ma non è l’unica ragione del rifiuto di frutta e verdura da parte dei più piccoli.

Tra le cause per cui i bambini rifiutano il cibo vi sono infatti altri meccanismi, sia fisiologici che relativi alla sfera psico-sociale (rapporto con i genitori, accettazione da parte degli altri bambini…).

Trattando il versante fisiologico, possiamo dire che i bambini rifiutano il cibo perché:

  • Ha un gusto poco gradevole,
  • E’ un cibo sconosciuto e quindi potenzialmente pericoloso,
  • E’ disgustoso a priori.

Attenzione: il gusto poco gradevole è svincolato dal disgusto! Il primo è correlato all’esperienza provata con l’alimento in esame, mentre il secondo è un’emozione che, in quanto tale, ha basi molto più complesse.

Il rifiuto di frutta e verdura:

conoscere le cause e sfruttarle per cambiare le conseguenze.

Una volta comprese le ragioni che spingono il bambino a rifiutare gli alimenti che gli proponiamo (attenzione: “proponiamo”, non “propiniamo”), è possibile creare una linea guida su come agire per incentivare l’accettazione.

La sfera psicosociale – perché si apprezza e perché si rifiuta il cibo: genitori, nonni e insegnanti.

Partiamo dall’assunto basilare: i bambini tendono a imitare le persone di riferimento, che tendenzialmente sono genitori, nonni, insegnanti e i propri pari (coetanei).

Il ruolo dei genitori, dei nonni e degli insegnanti fa da “guida”, da “esempio da imitare”. E proprio per questo il contesto familiare è la culla perfetta per instaurare un cambiamento poiché, in generale, i cibi nuovi hanno maggiore probabilità di essere accettati quando presentati in una situazione familiare per l’individuo. 

In qualità di esempio, è importante che i tutori esaltino il sapore gradevole del cibo dimostrandosi entusiasti ed evitando di incalzare i piccoli sull’importanza dell’assunzione di un alimento specifico (poco gradito), in virtù degli effetti benefici sulla salute.

Infatti si è visto che stimolare un bambino a mangiare un alimento “perché fa bene”, porta soltanto ad allontanarlo .

Ciò accade perché semplicemente i bambini non sono così interessati ai risvolti positivi sulla salute, dettati dall’assunzione di un particolare alimento: ecco perché gli alimenti che noi reputiamo “più salutari” sono quelli che i bambini sono più restii a consumare.

È inoltre estremamente rilevante non sottovalutare che ciò che genitori, nonni e insegnanti ritengono sia una “alimentazione sana”, perché spesso non è in linea con le raccomandazioni dei professionisti della nutrizione: in questo senso è importantissimo richiedere una visita specialistica o in generale l’intervento di un dietista o un nutrizionista.

La sfera psicosociale – perché si apprezza e perché si rifiuta il cibo: i pari.

L’influenza dei pari ha un impatto significativo sulla formazione delle preferenze: i bambini tendono ad apprezzare e consumare, o rifiutare i cibi a loro volta apprezzati e consumati, o rifiutati dai pari.

Non è insolito sentire i genitori affermare che il proprio figlio abbia interrotto l’assunzione delle verdure da quando ha iniziato a mangiare in mensa. E non è perché in mensa le verdure siano cucinate male, ma perché i piccoli vedono i loro amichetti rifiutare “tutto ciò che è verde” e, per innato stimolo di appartenenza, si comportano di riflesso nel medesimo modo.

In questo caso la soluzione non è evitare che i bambini mangino in mensa, ma piuttosto creare un ambiente familiare che sia da stimolo per il consumo di frutta e verdura, a prescindere dall’influenza stessa dei pari.

Un bambino che gradisce frutta e verdura sarà difficilmente un bambino che la rifiuterà per essere accettato dai suoi compagni di classe.

La sfera sensoriale: cambiare forma, abbinamento e colore

“Se dovessi proporre a mio figlio un’insalata al posto delle patatine, si metterebbe a urlare”.

Mi capita frequentemente di sentire frasi di questo tipo dai miei pazienti.

Non cedere alle urla e ai capricci è il passo necessario che il genitore deve compiere per modulare le abitudini del suo piccolo: i bambini imparano in fretta, e se capiscono che urlare è la strategia migliore per ottenere ciò che vogliono, non si fermeranno di certo.

Cosa fare per far mangiare verdura anche ai più capricciosi?

Secondo studi scientifici sembrerebbe che un minimo di sei esposizioni a un medesimo alimento – presentato in forme, colori, abbinamenti e odori diversi – possa portare il bambino a consumarlo.

Alla base di questo comportamento risiede il principio noto come “mere exposure effect”, secondo il quale una prima esposizione a uno stimolo (un alimento) porta con sé il superamento delle paure e delle perplessità del bambino, nei confronti dello stimolo stesso.

In altre parole, consumare un alimento per la prima volta porta il piccolo a comprendere che, di fatto, quell’alimento non è dannoso per la sua salute e che quindi può continuare a consumarlo.

Un cibo inizia quindi ad essere ingerito in quantità significative solo dopo una serie di esperienze che l’individuo compie, nelle quali il cibo stesso non produce effetti negativi per la sua salute.

Non basta che un alimento sia sicuro perché sia accettato

Un alimento deve essere sicuro per essere consumato, ma deve anche essere buono e bello per essere gradito.

Infatti, se gradimenti e rifiuti fossero spiegabili con il solo mancato effetto negativo sulla salute degli alimenti, dovremmo mangiare molti più cibi di quelli che effettivamente consumiamo.

Se un bambino rifiuta le verdure “perché c’è qualcosa di verde” possiamo quindi riproporgliele associate ad altri alimenti colorati. Magari frullandoli insieme o tritandoli in modo da mascherarne completamente consistenza e colore, oppure possiamo tagliare frutta e verdura così che assumano le più svariate forme: in commercio potete trovare dei “taglia frutta e verdura” che fanno al caso vostro.

Fantasia e inventiva ci vengono in aiuto per rendere i cibi poco graditi una nuova scoperta

Attenzione: stiamo parlando di proporre una varietà di frutta e verdura, e non di insistere su un particolare ortaggio.

Come per le canzoni, che quando ascoltate sino allo sfinimento ci portano a repulsione, alimenti consumati con troppa insistenza capitolano spesso per risultare poco graditi.

Quando iniziare a provare?

Abbiamo compreso che più esperienza abbiamo con un alimento più impariamo ad apprezzarlo, e che le ripetute esperienze con l’alimento stesso devono essere accompagnate da continui cambiamenti di forma, colore e associazioni.

Quando però è il momento adatto per iniziare a provare?

Già dopo lo svezzamento è importante iniziare a introdurre alimenti poco sconosciuti ai più piccoli, per incentivarli al consumo degli stessi: studi scientifici sono concordi sul fatto che bambini di un anno e mezzo hanno probabilità maggiori di mangiare un alimento sconosciuto, rispetto ai bambini di tre anni e mezzo.

Evitiamo quindi di credere che “da grande imparerà” o che ci sia sempre tempo: ci sono molti adulti che non mangiano volentieri le verdure.

Quale è la dose corretta?

In generale, per la popolazione sana, vale la regola che più verdura si mangia meglio è. Questo è vero con le dovute riserve, specialmente relative al senso di ripienezza e regolarità dell’alvo (qualora abbiate disturbi intestinali di vario tipo, recatevi sempre da uno specialista della nutrizione, senza sottostimare l’entità del vostro problema).

Con i bambini la questione si fa più sottile. In generale, è bene attenersi a dosi più contenute ma frequenti e di diversi tipi di verdura:  i bambini troppo piccoli non hanno un intestino ancora completamente sviluppato e, per questa ragione, troppa fibra potrebbe causare problemi e disturbi in quella sede.

Inoltre, un bambino in crescita ha bisogno di molta più energia di quella fornita dalla verdura e, quindi, forzarlo al consumo di verdura in età troppo giovane potrebbe portarlo a non assumere abbastanza energia da altri alimenti.

È sempre la dose e la frequenza a fare la differenza.

Consigli da portare a casa:

  1. Comportati da esempio e, quindi, in maniera esemplare: il tuo bambino sarà più incline a consumare frutta e verdura se ti vede gradirla. Modificare le tue abitudini alimentari porterà tuo figlio a comportarsi di conseguenza.
  2. Non forzare la mano: non imporre a tuo figlio di consumare frutta e verdura quando non ne ha voglia, pur non rassegnandoti al primo tentativo. Prova e riprova, cambiando sempre forma, odore e colore dell’alimento che gli proponi e associandolo ogni volta a qualche altro alimento che già gradisce.
  3. Coinvolgi tuo figlio nella scelta e nella preparazione del cibo: anche la sola manipolazione delle verdure lo stimolerà ad accettarle come cibo alla base della propria alimentazione.
  4. Gioca con tuo figlio: potete ad esempio creare una “cena a tema”  a settimana nella quale consumerete, in svariati modi, un alimento particolare o creare una “scatola dei misteri” dalla quale potrà estrarre vari alimenti, imparando a conoscerli.

Hai bisogno di maggiori informazioni? Contattaci!

Affrontiamo oggi un argomento controverso ma che spesso suscita molti dubbi ai genitori: quando e come eliminare il ciuccio e, soprattutto, quali possono essere gli effetti negativi del suo utilizzo prolungato.

Pariamo dal presupposto che non tutti i bambini sono uguali: alcuni “rifiuteranno” da subito il ciuccio mentre altri lo accoglieranno e utilizzeranno.

Il ciuccio in sé ovviamente non è il male incarnato e non vogliamo demonizzarlo, vi sono studi anzi che affermano che il suo utilizzo diminuisca il rischio di sindrome da morte in culla ed è inoltre più semplice eliminare il ciuccio rispetto ad altre abitudini viziate, quali il succhiamento del dito, che potrebbero insorgere nei primi anni di vita.

Il ciuccio inoltre, emulando il capezzolo materno, permette di rasserenare e tranquillizzare il bambino.

L’importante è come sempre di seguire alcune accortezze:

  • sarebbe consigliabile non fornirlo nei primissimi mesi di vita, in modo tale che non interferisca con la suzione nutritiva;
  • dopo questi primi mesi, se il bambino vorrà il ciuccio, sarebbe importante utilizzarlo solo nei momenti di sonno o consolatori, relegandolo quindi a momenti ben precisi;
  • il ciuccio andrebbe eliminato entro i due anni/due anni e mezzo di vita, in modo tale da non incidere negativamente sullo sviluppo articolatorio del bambino.

Perché eliminare il ciuccio?

Ogni volta che il bambino utilizza il ciuccio “sforza” la sua lingua a rimanere in una posizione scorretta, in basso, e cosi facendo aumenta il rischio di sviluppare malocclusioni e alterazioni del palato, il quale rimarrà più stretto e ogivale.

La lingua inoltre, rimanendo verso il basso anche durante la deglutizione, non andrà a stimolare il muscolo responsabile dell’apertura della Tuba di Eustachio, un canale che collega il naso con l’orecchio medio, aumentando il rischio di instaurare otiti.

Tutti questi aspetti sovracitati possono ovviamente influire anche sullo sviluppo linguistico del bambino, andando a intaccarne gli aspetti fono-articolatori.

Come eliminarlo?

Anche per questo aspetto bisogna considerare che ogni bambino è diverso e nessuno li conosce meglio di voi mamme e papà.

L’unica accortezza è di non sminuire il bambino e farlo sentire a disagio (“tutti i tuoi amici non lo utilizzano più, mica sarai un bambino piccolo”) né eliminarlo con il ricatto.

Sarebbe invece importante iniziare a “responsabilizzare” il bambino, facendolo sentire grande e capace (apparecchiare la tavola, sistemare i giochi, ecc.) e verbalizzare le sue emozioni (“so che lasciare il ciuccio è difficile e ti mancherà”), spiegandogli l’importanza di eliminarlo. 

Molti genitori utilizzano giustamente il periodo di Natale/Santa Lucia per permettere al bambino di salutare volontariamente il suo ciuccio, a volte aggiungendo una nobile causa, ad esempio donandolo a un cucciolo renna o ad un piccolo nano. 

Sono inoltre presenti vari libri per aiutare il bambino ad affrontare l’argomento, riflettendo sulle difficoltà che altri personaggi incontreranno nell’abbandonare il ciuccio; eccovi alcuni titoli interessanti:

  • Il ciuccio di Nina (Editore: Il Castoro)
  • Lupetto vuole il ciuccio (Editore: Gribaudo)
  • Ciao, ciao, ciuccio! Io sono grande (Editore: La Margherita)
  • Anna dorme senza ciuccio (Editore: Clavis)
  • Che noia il ciuccio che noia! La vera storia di come Nico riesce a diventare grande. (Editore: Edizioni del Baldo)

In merito ai libri consigliati è impossibile non citare quello scritto dalla collega logopedista Paola Perrone: “Togliamo il ciuccio”. Il libro inizia con un’importante e chiara parte introduttiva che illustra la fisiologia della deglutizione, presenta i differenti vizi orali ed alcune pratiche strategie per superarli. 

Dopo questa parte introduttiva sono presentate sei storie magnificamente illustrate: tre sono sull’abbandono del ciuccio, una sul biberon, una per la suzione del dito e infine l’ultima è dedicata alla respirazione orale; il bambino viene quindi portato a immedesimarsi nei vari personaggi, vivendone le difficoltà ma anche il successo e la felicità finale.

E il biberon?

Ovviamente tutte le riflessioni sovracitate valgono anche per il biberon, se non in misura maggiore: mentre infatti il ciuccio viene di solito abbandonato prima dell’ingresso della Scuola dell’Infanzia, capitano spesso a terapia bambini di 5-6 anni che utilizzano ancora il biberon.

Ribadiamo quindi che anche quest’ultimo va abbandonato prima dei due anni e mezzo, se non prima, essendo più un’esigenza di noi adulti. Il bambino infatti fin da piccolo è in grado di bere dal bicchiere, magari sporcandosi o bagnandosi ma divertendosi, allenando le sue abilità di coordinazione oculo-manuale e sperimentando le sue competenze.

Non a caso, quando intraprendiamo la terapia, il bambino abbandona spesso senza nessun problema il biberon, specialmente se sostenuto dalla famiglia e se reso partecipe nell’acquisto della nuova tazza/bicchiere che prenderà il posto del biberon.

Maledetto dito!

Il discorso invece diventa più complesso per i bambini che succhiano ancora il dito, poiché per ovvi motivi è impossibile prenderlo e buttarlo via… anche qui il consiglio è di non sminuire mai il bambino, rendendolo consapevole dei suoi punti di forza e del suo esser grande e capace in molti aspetti della sua vita.

Per iniziare proverei con il libro della collega sovracitato, dove troverete utili consigli e un percorso per provare a dire addio anche al dito… nel caso questo non bastasse il consiglio è di rivolgersi a una logopedista, la quale potrà fornirvi alcune strategie e seguirvi in questo importante percorso.

Per qualsiasi dubbio o perplessità non esitate a contattare il Centro la Trottola e i professionisti della nostra équipe!

Logopedista Alice Bellini