Insegnanti efficaci

Corso di aggiornamento Professionale sulla relazione interpersonale e sulla comunicazione

Descrizione del corso

Il corso Insegnanti Efficaci è la versione italiana di Teacher Effectiveness Training. Assieme ai corsi paralleli per genitori e per giovani esso si basa sul modello formativo dell’ Effectiveness Training International. ideato da Thomas Gordon, allievo di Carl Rogers, e diffuso in tutto il mondo dai suoi numerosi collaboratori.

Il corso Insegnanti Efficaci si prefigge di sviluppare o migliorare la sensibilità e le competenze necessarie per affrontare con successo i complessi e molteplici aspetti della vita scolastica. Esso unisce la psicologia umanistica di Carl Rogers con la riflessione pedagogica, la ricerca metodologica e le tecniche didattiche più avanzate, nella definizione di un modello di aggiornamento professionale capace di massimizzare e ottimizzare la qualità dell’esperienza scolastica e il tempo di lavoro effettivamente utile e significativo, riducendo al minimo il malessere delle persone.

A tal fine il corso valorizza la sensibilità e la tendenza formativa presente nelle persone e facilita l’acquisizione delle competenze necessarie per risolvere i numerosi e complessi problemi di relazione e di comunicazione che insorgono quotidianamente nel contesto della scuola.

Tali abilità, una volta acquisite, facilitano realmente la soluzione dei problemi e progressivamente contribuiscono alla creazione di un clima di lavoro salutare, soddisfacente e produttivo per l’intera comunità scolastica. Un ulteriore vantaggio è nella possibilità di trasferire tali capacità relazionali in altri contesti come la famiglia, il lavoro, le amicizie.

Ciò che distingue questo corso da numerose altre proposte formative è il suo obiettivo di unire il pregio della sistematicità e compiutezza a quello della relativa brevità del tempo di aggiornamento, il tutto a costi facilmente accessibili.

Caratteristiche

E necessario innanzitutto precisare che quello che viene qui presentato, diversamente dalla utilizzazione parziale che ne è stata fatta finora in Italia, è il programma originale e completo così come è stato elaborato da Thomas Gordon e come viene attualmente diffuso e applicato in altre nazioni.
Il corso è tenuto esclusivamente da persone formate e autorizzate da Effectiveness Training Inc.. In Italia tali persone sono certificate dall’Istituto dell’Approccio Centrato sulla Persona (IACP) che ha l’esclusiva del metodo.

Insegnanti Efficaci è un corso breve (durata minima di 24 ore) di aggiornamento organico e integrato, che ha per destinatari docenti, animatori e educatori, e chiunque debba esercitare nel suo ambito attività di insegnamento.

Questo corso è forse il programma di maggior successo che sia mai stato indirizzato agli insegnanti allo scopo di migliorare la conduzione della classe, il controllo della disciplina e la capacità di comunicazione interpersonale, di risolvere i conflitti e incrementare la consapevolezza nel campo dei valori e delle scelte.
Dal suo inizio ad oggi si sono formati in questo metodo oltre un milione di insegnanti e formatori di oltre trenta paesi del mondo.

Il Teacher Effectiveness Training, realizzato da Gordon nel 1966, si basa sul pensiero e sulla prassi educativa di Carl Rogers e integra l’approccio umanistico con tecniche didattiche avanzate. Esso è strutturato in modo da proporre contemporaneamente e in maniera integrata il livello della teoria e quello della esperienza ed ha pertanto una valenza cognitivo-esperienziale.

Esso deriva da numerose e qualificate esperienze di ricerca pedagogica, e si compone di una serie di metodi che i partecipanti possono apprendere e applicare nel loro lavoro come nella loro vita.

E’ opportuno sottolineare che, al di là dei metodi e delle tecniche, è di fondamentale importanza che i partecipanti comprendano e condividano i principi concettuali a cui essi si ispirano: una filosofia decisamente democratica, centrata sul rispetto delle persone, e basata sulla convinzione che in caso di conflitto non è giusto che a vincere sia solo una delle due parti in causa (ad esempio: l’adulto o l’adolescente). Una soluzione produttiva viene raggiunta solo quando entrambi si sentono vincenti perché hanno veramente collaborato nella comprensione del problema e nella ricerca delle soluzioni, un clima di autentica condivisione del potere e della responsabilità.

Obiettivi

Obiettivi generali

Lo scopo principale del corso Insegnanti Efficaci è quello di sviluppare e affinare la competenza relazionale degli insegnanti di ogni ordine e grado. Vuole formare “insegnanti efficaci” nella comunicazione educativa, intendendo per efficacia la capacità di esercitare una effettiva, concreta influenza sugli allievi senza far ricorso all’uso del potere.

Più in particolare lo scopo di questo corso è quello di incrementare la qualità e la quantità di tempo dedicato nella scuola al processo di insegnamento/apprendimento facendo risparmiare a insegnanti, allievi e responsabili della scuola tempo ed energie facilmente dispersi per far fronte ai problemi e ai conflitti presenti nelle classi e nella scuola.

insegnanti efficaci

Obiettivi specifici

Gli obiettivi del corso possono essere chiaramente compresi se si fa riferimento alle seguenti competenze relazionali che i partecipanti hanno l’opportunità di apprendere, e che costituiscono di fatto il contenuto del corso:

  1. Osservare e descrivere oggettivamente il comportamento, proprio e degli altri, evitando l’uso di etichette, valutazioni e giudizi personali fuorvianti.
  2. Identificare le aree problematiche ed apprendere ad attribuire correttamente, in situazioni conflittuali, la competenza dei problemi a noi o agli altri al fine di individuare una via di soluzione.
  3. Apprendere nuove e più efficaci modalità di ascolto e comprensione empatica al fine di avviare in modo utile una relazione di aiuto.
  4. Confrontarsi positivamente e produttivamente con gli altri, specialmente nelle situazioni in cui gli altri hanno comportamenti per noi “inaccettabili”, esprimendo in modo chiaro e congruente fatti, pensieri e sentimenti.
  5. Esprimere liberamente le proprie emozioni e le proprie opinioni senza ferire o ingannare l’
  6. Saper integrare le capacità di ascolto e di confronto precedentemente apprese.
  7. Apprendere come e quando impiegare metodi “democratici” nella risoluzione dei conflitti, al fine di individuare soluzioni comuni che rispondano ai bisogni di tutte le parti in causa.
  8. Offrire opzioni efficaci a risolvere le collisioni di valori.
  9. Struttura del corso

Il Corso è di­viso in otto moduli:

1° modulo

  • Presentazione del corso e degli obiettivi.
  • Analisi delle aspettative e dei bisogni dei partecipanti.
  • Definizione del comportamento. Comportamenti dell’
  • Come capire il comportamento delle persone.
  • Il rettangolo del comportamento.
  • Come riconoscere, affrontare e risolvere i problemi.
  • Di chi è il problema?

2° modulo

  • Come prestare ascolto e attenzione all’
  • Le barriere alla comunicazione.
  • La teoria della comunicazione.

3° modulo

  • Le caratteristiche di una relazione di aiuto.
  • L’ascolto passivo.
  • L’ascolto attivo.
  • L’

4° modulo

  • Come ottenere ascolto e attenzione dagli altri.
  • I messaggi in prima persona.
  • Il confronto e l’assertività.
  • Genuinità e empatia.

5° modulo

  • Come trattare la resistenza al cambiamento.
  • La teoria dell’iceberg: cosa c’è sotto l’ira?
  • La teoria dei bisogni di Maslow.
  • Il cambio di marcia.

6° modulo

  • Come risolvere gli inevitabili conflitti in modo che tutte le parti in causa si sentano rispettate.
  • Conflitti su bisogni concreti e collisioni di valori.
  • Stili di risoluzione dei conflitti.
  • Come lavorare efficacemente in team.

7° modulo

  • Uso del potere.
  • Metodi I e II: aspetti positivi e aspetti negativi.
  • Come rendere produttiva la conflittualità.
  • Il metodo III.

8° modulo

  • Come promuovere l’autocontrollo e l’
  • Come modificare l’ambiente scolastico.
  • Come trattare le collisioni di valori.
  • Le opzioni ad alto e a basso rischio per la relazione.

Metodologia

Il corso Insegnanti Efficaci si ispira ai modi di essere” e agli atteggiamenti facilitanti” di Carl Rogers e si presenta come un corso strutturato, con sequenze temporali precise e ricco di materiale didattico. Attua una forma di apprendimento attiva e impegna i partecipanti nella diretta esperienza dei concetti e delle abilità insegnate. Facilita la condivisione di esperienze e l’espressione di idee, dubbi e problemi.

Il processo di apprendimento si svolge lungo un cammino articolato in quattro momenti essenziali:

Strutturare le varie attività: si tratta di una breve presentazione dei contenuti e degli obiettivi di ogni modulo, con l’uso di sussidi audiovisivi.

Interessare i partecipanti con l’uso di role play, di ricordo guidato di importanti esperienze, di riflessioni scritte, di esercizi, di casi esemplari, di laboratori esperienziali effettuati in coppie, triadi, piccoli gruppi.

Discutere quanto appreso condividendo in piccoli e grandi gruppi le intuizioni e le nuove tecniche apprese.

Applicare quanto imparato e sperimentato nelle proprie attività personali e professionali, esercitandosi con il personale della propria scuola, in famiglia ecc. e cominciando a pianificare l’uso costante delle abilità apprese nel proprio lavoro.

Materiale didattico

I partecipanti utilizzeranno un quaderno di lavoro (workbook) appositamente predisposto. Alla fine del corso ogni partecipante riceverà un certificato di partecipazione.

Organizzazione

Il corso ha una durata di 24 ore suddivise in 8 incontri di 3 ore ciascuno oppure in 4 incontri di 6 ore ciascuno. Soluzioni differenti possono essere concordate.

Formatore

Il corso sarà tenuto dalla Dott.ssa Simona Volpi Psicologa – Psicoterapeuta individuale e di gruppo dell’Approccio Centrato sulla Persona – Formatrice Gordon.

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benessere fisico e mentale

Gli studi sulla capacità del cervello di cambiare e svilupparsi in risposta all’esperienza, indicano che una pratica regolare di determinate attività è in grado di attivare lo sviluppo di connessioni nervose e persino di nuovi neuroni.

Daniel J.Sigel e colleghi, hanno individuato un gruppo di sette attività finalizzate a stimolare la crescita e l’attivazione neuronale.

1. Il tempo dell’interiorità: un momento di riflessione interiore sulla natura della nostra vita mentale e delle nostre sensazioni corporee

Ciò ci consente di percepire emozioni, pensieri, ricordi e convinzioni, ma anche intenzioni, speranze e sogni, atteggiamenti e desideri.

Praticare regolarmente il “tempo dell’interiorità” stimola la crescita di numerose fibre nel cervello, in particolare quelle che contribuiscono alla capacità di regolare l’attenzione, le emozioni e il pensiero; siamo maggiormente presenti e più ricettivi rispetto a ciò che la vita ci propone ogni giorno.

Inoltre, il “tempo dell’interiorità” favorisce l’incremento di capacità interpersonali come empatia e compassione, pertanto anche le nostre relazioni possono migliorare!

2. Il tempo del sonno: concedersi almeno 7-8 ore di sonno

Oggigiorno fra schermi digitali e illuminazione elettrica, veniamo sommersi di stimoli che ci fanno restare svegli molto più a lungo rispetto a quelli che sarebbero i naturali ritmi di sonno e veglia.

Dormire il giusto quantitativo di ore è necessario per rendere possibili moltissime funzioni del nostro corpo e della nostra mente: lo sviluppo del cervello, il consolidamento di ciò che si è imparato durante il giorno, un sano funzionamento dell’insulina, del metabolismo e del sistema immunitario e la capacità di far fronte allo stress derivante dai problemi della vita quotidiana.

Senza una sufficiente quantità di sonno, ciascuno dei fondamentali processi cerebrali, fisiologici e mentali appena elencati, rischia di non funzionare adeguatamente.

Poche ore di sonno, inoltre, portano poca energia, malessere, facile irritazione e poca pazienza con gli altri. In poche parole rischiamo di diventare una spiacevole compagnia.

3. Il tempo della concentrazione: l’apprendimento combatte la noia e mantiene giovane il cervello

Il cervello si sviluppa anche quando focalizziamo l’attenzione in modo continuo senza frequenti distrazioni. Ciò favorisce il processo di apprendimento: senza attenzione, infatti, non potremmo incanalare l’energia necessaria per permettere alle informazioni di attivare i neuroni e favorire così la creazione di connessioni durature fra essi.

Il processo di consolidamento delle informazioni permette di creare cambiamenti strutturali nel cervello anche a lungo termine.

Tuttavia, nella quotidianità di oggi, si sta sviluppando sempre di più la tendenza a prestare attenzione a più cose contemporaneamente: studiare, chattare, rispondere al telefono ecc. Queste attività non fanno altro che interferire con le condizioni necessarie per far sì che si creino tracce di apprendimento resistenti per lunghi periodo.

Pertanto, quando è necessario memorizzare e apprendere nuove informazioni, è bene eliminare eventuali fonti di distrazioni, ricordandoci che il nostro cervello è programmato per fare una cosa alla volta.

Inoltre, non dimentichiamoci che lo studio e l’apprendimento mantengono il cervello giovane: per coloro che non partecipano a programmi di formazione continua come circoli di lettura, gruppi di discussione o altri corsi, potrebbero esserci potenziali problemi poiché il cervello smette di fare ciò per cui è stato programmato, ossia continuare ad imparare, svilupparsi e creare nuove connessioni.

Gli adulti che non partecipano ad attività che richiedono concentrazione potrebbero iniziare a sentirsi imprigionati nella routine, nella noia di una vita sempre uguale.

Il tempo della concentrazione ci ricorda che è importante aguzzare la mente e non smettere mai di aver voglia di imparare.

4. Il tempo dell’ozio: anche il cervello ha bisogno del suo “maggese”

Se è vero che il tempo della concentrazione è importante per favorire lo sviluppo delle connessioni sinaptiche, è altrettanto vero che, come il maggese per il terreno, anche il cervello ha bisogno di un tempo per rilassare la mente e rimettere in forma la materia grigia.

Il tempo dell’ozio è il tempo in cui non si ha niente in programma, nessuna scadenza da rispettare. In questo periodo di tempo il cervello ricarica le batterie e la mente viene intenzionalmente lasciata tranquilla. Il tempo dell’ozio è ben diverso dalla naturale distrazione, esso è un momento “intenzionalmente” riservato al rilassamento, in cui non abbiamo impegni in calendario e dobbiamo lasciare libera l’immaginazione.

5. Il tempo del gioco: spontaneità e divertimento

Il “tempo del gioco” chiede di partecipare, in modo divertente e coinvolgente, a un’esplorazione spontanea delle diverse dimensioni della vita. Esso è un momento essenziale per la salute e la felicità: spontaneità e divertimento sono un terreno fertile per la crescita cerebrale perché consentono al cervello di funzionare in modo originale e imprevedibile, favorendo lo sviluppo e il consolidamento di nuove connessioni.

Concedersi del tempo per giocare permette inoltre di vivere nuove emozioni, parlare, comportarsi e relazionarsi in modo nuovo, ci aiuta a sentirci liberi e accettati, qualunque cosa si riesca ad inventare.

6.Il tempo del movimento: muovere il corpo fa muovere il cervello

Muovere il corpo migliora la plasticità cerebrale: favorisce la memoria, lo sviluppo di connessioni sinaptiche e il loro rafforzamento. Inoltre favorisce il rilascio delle endorfine e migliora l’umore anche nelle persone inclini alla depressione.

7. Il tempo della relazione: diamo più significato alla nostra vita

Da numerosi studi emerge come le relazioni con gli altri possano dare più significato alla vita, favorire la salute e la felicità, renderci più saggi.

Il “tempo della relazione” significa prendersi un momento per stare con gli amici e la famiglia, meglio se di persona. Con il contatto diretto, infatti, è possibile cogliere diversi segnali verbali come le espressioni facciali, il tono di voce, la postura, la gestualità, la sincronizzazione e molto altro che favoriscono una migliore comprensione del messaggio e delle intenzioni altrui.

Molti di voi, al termine di questo articolo, si staranno dicendo che per fare tutto questo, ogni giorno, non c’è tempo. In risposta vi dico che non è necessario dedicare ad ognuna di queste cose molte ore del vostro tempo, a volte è sufficiente scambiare una battuta divertente con un collega per soddisfare “il tempo del gioco”, o ritagliarvi 15 minuti la sera per meditare e osservare la vostra vita interiore. Ricordate che il benessere fisico e psicologico passa attraverso piccole e costanti abitudini quotidiane.

Dott.ssa Elisabetta Boschini

Per prenotare un primo colloquio gratuito scrivete a centrolatrottola@gmail.com oppure chiamate il 3312212505.

girello bambino

Ancora oggi nel 2020 molti neogenitori si trovano un po’ spaesati su un tema di cui si è già parlato tanto: il girello fa bene o no al bambino?

Siccome il tema in queste due ultime settimane è emerso in due gruppi di lavoro differenti da diverse neomamme, ho voluto fare un po’ di chiarezza e provare a dare degli spunti a riguardo!

Iniziamo a rispondere alla domanda, il girello fa bene si o no?

No!

Vediamo insieme il perché:

Le motivazioni per cui l’utilizzo del girello è calorosamente sconsigliato sono numerose e differenti tra loro.

Partiamo da una semplice considerazione, quando e come nasce l’idea del girello?

La prima versione di questo strumento lo vedeva semplicemente come un cesto senza ruote dove le madri che lavoravano nei campi potevano lasciare il loro bambino per svolgere il loro lavoro con più serenità. L’evoluzione e il cambiamento, che ha portato alla nascita del girello che tutti oggi conosciamo, è stata l’aggiunta di ruote che permetteva al bambino di muoversi.

Pensate che ci sono testimonianze che già dal XV secolo in Europa veniva utilizzato: una miniatura nel Libro delle Ore di Caterina Clèves (un manoscritto olandese di tale epoca) raffigura la figura del Bambin Gesù posto all’interno di un girello, libero di muoversi in autonomia all’interno della casa.

Ed è esattamente questa la motivazione principale per cui molti genitori scelgono di porre il loro bambino all’interno di un girello, «si può muovere da solo mentre io faccio i miei lavori in casa e non devo guardarlo ogni due secondi».
Lo strumento così facendo si fa carico di una parte di responsabilità del genitore, che si trova così alleggerito e si permette di concentrarsi maggiormente su altro (lavoro, casa, etc) poiché il suo bambino è in sicurezza.

Ma lo è per davvero?

Nell’Ottobre del 2018 la rivista Pediatrics dell’American Accademy of Pediatrics ha pubblicato un articolo (Infant Walker – Related injuries in the United States) nel quale è stato stimato che tra il 1990 e il 2014 oltre 230.000 bambini, al di sotto dei 15 mesi, siano stati ricoverati e trattati per ferite e traumi dovuti proprio all’utilizzo del girello, oltre il 90% dei bambini – a cui fa riferimento l’articolo – ha riportato lesioni alla testa e al collo e la causa più riportata (74,1%) è la caduta dalle scale.

Già questi dati  dovrebbero farci mettere in discussione la tanto nominata “sicurezza” del girello, il genitore si sente talmente tranquillo che non guarda più il bambino ed è li che potrebbe accadere l’impensabile.

Per far fronte a questa problematica sulla sicurezza in Canada dal 2004 il suo utilizzo è stato vietato con una legge e chi ne vende o possiede uno, rischia una multa salata o addirittura il carcere.

Ma parliamo ora della funzione ad esso assegnata: aiutare il bambino a camminare prima.

Prendiamoci un momento per ragionarci insieme, quando e come un bambino impara a camminare?

Il gesto motorio del cammino è un gesto complesso, che richiede la compresenza di numerosi attori:

  • Adeguate competenze motorie e di coordinazione che permettano al bambino di controllare il proprio corpo,
  • Un sufficiente sviluppo muscolo-scheletrico che gli permetta di vincere la resistenza posta dalla forza di gravità, senso dell’equilibrio,
  • Un obiettivo che motiva la mia scelta di alzarmi in piedi (afferrare degli oggetti di interesse posti al di fuori della portata delle mie mani da seduto).

Tutte queste competenze il bambino le raggiunge solamente in un modo, tramite l’esercizio e il gioco autonomo: momenti che diventano per lui una palestra per fare pratica, conoscere e acquisire padronanza di sé.

Pensiamo al bimbo posto all’interno del girello, è imbracato in una mutandina che sorregge buona parte del suo peso, togliendolo di fatto alle gambe e alla colonna vertebrale e diminuendo il loro lavoro, rallentandone quindi lo sviluppo muscolo-scheletrico. Ma soprattutto il bambino è… seduto!

La posizione assunta dal bambino al suo interno è fortemente viziata e condizionante la crescita e il raggiungimento della tappa del cammino, e non solo di quella:

  • il baricentro è del tutto spostato in avanti: ciò rallenterà di molto l’acquisizione di un senso d’equilibrio e porterà il bambino a cadere più facilmente una volta che uscirà dal girello, perché manterrà l’assetto posturale tenuto per lungo tempo all’interno di questo. Per il tempo che ha “imparato a camminare” nel girello il bambino non ha mai potuto sperimentare le cadute, fase di transizione fondamentale verso il cammino perché imparando a cadere bene si limitano i danni che potrebbero subentrare nel momento di una caduta. In questo modo il bambino si sentirà più sicuro di se stesso e confidente nell’esplorare lo spazio in autonomia.
    Se neghiamo al bambino la possibilità di sperimentare e allenare le cadute, queste successivamente rallenteranno l’acquisizione della deambulazione con possibili conseguenze anche a livello dell’autostima e dell’autonomia e con il rischio di cadute più pericolose.
  • È “bloccato” all’interno di una mutandina: questa condizione protratta nel tempo porta a diversi problemi, come un rallentamento dello sviluppo muscolo-scheletrico degli arti inferiori, della colonna e di tutta la muscolatura dorsale a suo sostegno che non hanno la possibilità di allenarsi a vincere la forza di gravità.
    Le gambe sono mantenute in una posizione di doppia flessione (a livello di anca e ginocchio) e tutto il lavoro di spostamento è dato da una flesso estensione della caviglia. Questo atteggiamento posturale, se prolungato nel tempo, vizia fortemente la sequenza motoria del gesto del cammino per cui il bambino imparerà a camminare male, in ritardo e, probabilmente mantenendo l’atteggiamento in punta di piedi acquisito col girello.
    La posizione viziata e lo scarico del peso del corpo sull’anca per un tempo prolungato può procurarne delle problematiche negli anni a seguire, oltre che rallentarne il corretto movimento funzionale al gesto della deambulazione.
  • Il bambino è contenuto all’interno di una struttura “protettiva”: osservate bene com’è organizzata la struttura contenitiva del girello.
    Innanzitutto non permette al bambino di guardarsi gambe e piedini mentre cammina, lo stimolo visivo del proprio corpo nell’acquisizione del gesto motorio è un facilitatore, non potersi vedere è di fatto uno stimolo che ne rallenta l’acquisizione.

Abbiamo parlato prima di motivazione che porta il bambino ad alzarsi, ovvero il poter raggiungere determinati oggetti posti in posizioni sopraelevate. La struttura del girello impedisce al bambino, o comunque rende molto difficile, il raggiungimento di oggetti posti oltre una certa distanza da sé.

La possibilità di tenere dei giochi/oggetti sul tavolino di fronte a sé è fonte di enorme distrazione, perché il bambino focalizzerà la sua attenzione lì, negandola allo spazio attorno a sé. In questo modo acquisirà uno spostamento orizzontale “distratto” focalizzato su quello che ha per le mani e non su quello che gli sta intorno.

Per lo stesso motivo uno dei giochi preferiti del bambino – che è quello di prendere un oggetto, lanciarlo e andare a riprenderlo in autonomia – viene totalmente negato dall’utilizzo del girello, riducendo così le possibilità di allenare la propria autonomia e una tenuta attentiva nel gioco.

In ultima analisi, la struttura che circonda il bambino falsa la percezione del proprio corpo nello spazio: per raggiungere un oggetto non basta più allungare mano e braccio, o spostarsi di poco nello spazio, ma costringe ad adottare strategie diverse, non funzionali e che richiedono maggiore impegno, ciò porterà in seguito a difficoltà nella gestione del proprio corpo nello spazio.

Abbiamo visto insieme quanti ritorni negativi possa generare un utilizzo del girello prolungato e costante nel tempo! È facile comprendere quindi perché noi professionisti sanitari lo sconsigliamo fortemente ai genitori.

Tuttavia, qualora fosse “necessario”, è bene assicurarsi che sia per poco tempo e soprattutto che il bambino sia sempre sotto l’attenta supervisione di un adulto.

Ma vediamo insieme quali alternative possiamo adottare all’utilizzo del girello!

Sicuramente premessa e condizione di partenza è un ambiente che sia preparato ad accogliere la presenza di un bambino così piccolo, mettendo tutto in sicurezza a favore di una sua maggiore autonomia.

Ricordiamoci inoltre che spingerlo ad anticipare la tappa, non porta sicuramente a raggiungerla più velocemente, anzi è sbagliato insistere tirandolo su per le mani, perché di fatto ricreiamo delle condizioni indotte dal girello, dunque così facendo siamo noi adulti a ridurre la forza di gravità a carico delle strutture muscolo-scheletriche senza contare che inoltre stiamo bloccando le braccia, fondamentali nella strutturazione del senso di equilibrio e fondamentali nella motivazione primaria che spinge il bambino ad alzarsi in piedi, che non è camminare, ma raggiungere e afferrare oggetti troppo in alto rispetto al pavimento!

Quindi come aiutarlo?

Creiamo il giusto spazio, con giochi e stimoli adeguati al nostro bambino, lasciamolo libero di esplorare e quando si sentirà pronto sarà lui a verticalizzerà la sua posizione con fiducia e autonomia.

Se vogliamo camminare insieme a lui allora non poniamoci sopra di lui, ma davanti a lui inginocchiandoci o stando bassi lasciandoci la possibilità di muoverci con lui rimanendogli di fronte, possiamo allungare le nostre mani che serviranno da stimolo al movimento e appoggio nelle prime fasi, ricordandoci di stare attenti a non negargli l’importante possibilità di imparare a cadere bene.

L’alternativa materiale che quindi proponiamo al girello è un piccolo deambulatore, un primi passi, che svolge questa funzione di sostegno e appoggio al bambino mentre allena il gesto motorio funzionale al cammino, dandogli anche stimoli di rinforzo (spesso musicali che partono nel momento in cui il carrellino primi passi inizia a muoversi e si silenziano nel momento in cui si ferma).

L’autonomia del bambino viene promossa solo di fronte ad uno sguardo attento dell’adulto che si pone come presenza accogliente e sicura per il bambino in caso di bisogno, ma che è anche in grado di incitarlo a provare senza paura di cadere o sbagliare e soprattutto senza sostituirsi al bambino nel compito o nella difficoltà che sta affrontando.

Possiamo subentrare come facilitatori, ma non entriamo come risolutori negando al vostro bambino la possibilità di una scoperta.

Il primo facilitatore al cammino e la prima sicurezza per il vostro bambino… siete voi genitori!

Per maggiori informazioni scrivete una email a centrolatrottola@gmail.com o visitate la nostra pagina Facebook “La Trottola – Centro per l’Età Evolutiva”.

Dottor Marco Bonacina – Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva, Terapista DIR Floortime, Insegnante Certificato A.I.M.I., IBFF® Official Instructor

Osteopatia

In questo breve articolo voglio raccontare cos’è l’osteopatia, a cosa serve e perchè può essere a chiunque DAVVERO utile.

L’Osteopatia è un metodo terapeutico che nasce in America nel 1874, viene definita terapia manuale perché si avvale solo ed esclusivamente di trattamenti eseguiti con le mani dai terapisti senza quindi l’uso di macchinari. L’osteopata viene formato con il concetto ben preciso che il corpo è un’unità.

L’osteopatia è una disciplina olistica, l’operatore osserva e valuta il paziente in tutta la sua globalità, non si concentra mai solo sul singolo sintomo. È come quando decidiamo di cambiare un mobile della nostra stanza, ovviamente non guardiamo solo se sta bene con gli altri mobili ma anche con i muri, le tende etc.
La stessa cosa fa l’osteopata ovvero osserva come il paziente sta nello spazio e nel suo ambiente. Ed è proprio questa una delle differenze tra noi ed il fisioterapista.

Ma quindi di cosa si articola una visita osteopatica?

L’osteopata accoglie il paziente nel suo studio e inizia la visita con una anamnesi, ovvero pone delle domande al paziente per capire meglio per quale motivo si è rivolto ad un osteopata e da cosa è causato il suo dolore. Successivamente attraverso un ragionamento clinico il professionista arriva a ricercare quella che viene definita “disfunzione osteopatica”, ossia una funzione compromessa o alterata di una o più componenti all’interno del corpo.
Questa viene comprovata attraverso dei test specifici e, solo successivamente, si inizia con il trattamento.

Il trattamento osteopatico si avvale dell’utilizzo di un ampio spettro di tecniche che possono andare a lavorare su sistemi differenti che sono:

  • Muscolo-scheletrico (muscoli, articolazioni e ossa)
  • Vascolare
  • Neurologico
  • Viscerale (organi addominali)
  • Cranio – sacrale

Ogni paziente è a sé, quindi i trattamenti verranno studiati e predisposti per ogni singolo paziente. In osteopatia non esistono protocolli di trattamento, i pazienti anche se con stessa patologia possono essere approcciati in modo diverso, questo dipende da come il corpo di un paziente reagisce al trattamento ed in base anche alla sua storia clinica, questo è anche il motivo per cui non esiste un numero specifico di trattamenti!

Perchè dovrei andare dall’Osteopata?

Il rapporto con l’osteopata può iniziare per diversi motivi, la maggior parte delle persone si rivolge all’osteopata per problematiche muscolo-scheletriche come possono essere dolori alla cervicale, per lombalgie o problematiche dolorose ad articolazioni degli arti inferiori o superiori.

Ma l’osteopatia non è solo questo: in letteratura ci sono diverse evidenze scientifiche di come l’osteopata possa andare a migliorare anche disfunzioni viscerali come gastriti, sindromi pre-mestruali, stipsi, alterazione al tratto gastro-intestinale e tante altri, questo grazie alla sua ampia conoscenza anatomica, fisiologica e fisiopatologica ed un grande bagaglio di tecniche che si adattano a tutte le tipologie di pazienti.

Inoltre si è visto come il trattamento osteopatico migliori anche le problematiche di cefalee, vertigini e migliori la qualità di vita di tutte quelle persone che sono affette da patologie degenerative (come ad esempio l’artrite reumatoide).

L’osteopata crea anche un percorso con le puerpere, prendendo mano nella mano le future mamme, accompagnandole fino al termine della gravidanza aiutandole successivamente al riequilibrio di tutte le funzioni del proprio del corpo ed effettua un trattamento di check up preventivo sul neonato. Possiamo anche dire che nel caso di  parto cesareo, il professionista tratta la cicatrice, per evitare la formazioni di aderenze che potrebbero influenzare la postura della neo-mamma.

L’osteopatia in ambito neonatale e pediatrico invece è un’osteopatia di prevenzione. Il neonato può essere portato dall’osteopata fin dai primi giorni di vita per un controllo, questo è molto importante perchè il parto è un evento traumatico per il piccolo e può provocare delle alterazioni che, se valutate in tempo, possono migliorare la crescita ed il benessere del bambino.

In queste poche righe, spero di aver illustrato in maniera chiara, la professionalità a largo spettro della figura dell’Osteopata, professione che personalmente è piena di soddisfazioni.

La Vostra Osteopata Ilaria Fusari