Insegnanti efficaci

Corso di aggiornamento Professionale sulla relazione interpersonale e sulla comunicazione

Descrizione del corso

Il corso Insegnanti Efficaci è la versione italiana di Teacher Effectiveness Training. Assieme ai corsi paralleli per genitori e per giovani esso si basa sul modello formativo dell’ Effectiveness Training International. ideato da Thomas Gordon, allievo di Carl Rogers, e diffuso in tutto il mondo dai suoi numerosi collaboratori.

Il corso Insegnanti Efficaci si prefigge di sviluppare o migliorare la sensibilità e le competenze necessarie per affrontare con successo i complessi e molteplici aspetti della vita scolastica. Esso unisce la psicologia umanistica di Carl Rogers con la riflessione pedagogica, la ricerca metodologica e le tecniche didattiche più avanzate, nella definizione di un modello di aggiornamento professionale capace di massimizzare e ottimizzare la qualità dell’esperienza scolastica e il tempo di lavoro effettivamente utile e significativo, riducendo al minimo il malessere delle persone.

A tal fine il corso valorizza la sensibilità e la tendenza formativa presente nelle persone e facilita l’acquisizione delle competenze necessarie per risolvere i numerosi e complessi problemi di relazione e di comunicazione che insorgono quotidianamente nel contesto della scuola.

Tali abilità, una volta acquisite, facilitano realmente la soluzione dei problemi e progressivamente contribuiscono alla creazione di un clima di lavoro salutare, soddisfacente e produttivo per l’intera comunità scolastica. Un ulteriore vantaggio è nella possibilità di trasferire tali capacità relazionali in altri contesti come la famiglia, il lavoro, le amicizie.

Ciò che distingue questo corso da numerose altre proposte formative è il suo obiettivo di unire il pregio della sistematicità e compiutezza a quello della relativa brevità del tempo di aggiornamento, il tutto a costi facilmente accessibili.

Caratteristiche

E necessario innanzitutto precisare che quello che viene qui presentato, diversamente dalla utilizzazione parziale che ne è stata fatta finora in Italia, è il programma originale e completo così come è stato elaborato da Thomas Gordon e come viene attualmente diffuso e applicato in altre nazioni.
Il corso è tenuto esclusivamente da persone formate e autorizzate da Effectiveness Training Inc.. In Italia tali persone sono certificate dall’Istituto dell’Approccio Centrato sulla Persona (IACP) che ha l’esclusiva del metodo.

Insegnanti Efficaci è un corso breve (durata minima di 24 ore) di aggiornamento organico e integrato, che ha per destinatari docenti, animatori e educatori, e chiunque debba esercitare nel suo ambito attività di insegnamento.

Questo corso è forse il programma di maggior successo che sia mai stato indirizzato agli insegnanti allo scopo di migliorare la conduzione della classe, il controllo della disciplina e la capacità di comunicazione interpersonale, di risolvere i conflitti e incrementare la consapevolezza nel campo dei valori e delle scelte.
Dal suo inizio ad oggi si sono formati in questo metodo oltre un milione di insegnanti e formatori di oltre trenta paesi del mondo.

Il Teacher Effectiveness Training, realizzato da Gordon nel 1966, si basa sul pensiero e sulla prassi educativa di Carl Rogers e integra l’approccio umanistico con tecniche didattiche avanzate. Esso è strutturato in modo da proporre contemporaneamente e in maniera integrata il livello della teoria e quello della esperienza ed ha pertanto una valenza cognitivo-esperienziale.

Esso deriva da numerose e qualificate esperienze di ricerca pedagogica, e si compone di una serie di metodi che i partecipanti possono apprendere e applicare nel loro lavoro come nella loro vita.

E’ opportuno sottolineare che, al di là dei metodi e delle tecniche, è di fondamentale importanza che i partecipanti comprendano e condividano i principi concettuali a cui essi si ispirano: una filosofia decisamente democratica, centrata sul rispetto delle persone, e basata sulla convinzione che in caso di conflitto non è giusto che a vincere sia solo una delle due parti in causa (ad esempio: l’adulto o l’adolescente). Una soluzione produttiva viene raggiunta solo quando entrambi si sentono vincenti perché hanno veramente collaborato nella comprensione del problema e nella ricerca delle soluzioni, un clima di autentica condivisione del potere e della responsabilità.

Obiettivi

Obiettivi generali

Lo scopo principale del corso Insegnanti Efficaci è quello di sviluppare e affinare la competenza relazionale degli insegnanti di ogni ordine e grado. Vuole formare “insegnanti efficaci” nella comunicazione educativa, intendendo per efficacia la capacità di esercitare una effettiva, concreta influenza sugli allievi senza far ricorso all’uso del potere.

Più in particolare lo scopo di questo corso è quello di incrementare la qualità e la quantità di tempo dedicato nella scuola al processo di insegnamento/apprendimento facendo risparmiare a insegnanti, allievi e responsabili della scuola tempo ed energie facilmente dispersi per far fronte ai problemi e ai conflitti presenti nelle classi e nella scuola.

insegnanti efficaci

Obiettivi specifici

Gli obiettivi del corso possono essere chiaramente compresi se si fa riferimento alle seguenti competenze relazionali che i partecipanti hanno l’opportunità di apprendere, e che costituiscono di fatto il contenuto del corso:

  1. Osservare e descrivere oggettivamente il comportamento, proprio e degli altri, evitando l’uso di etichette, valutazioni e giudizi personali fuorvianti.
  2. Identificare le aree problematiche ed apprendere ad attribuire correttamente, in situazioni conflittuali, la competenza dei problemi a noi o agli altri al fine di individuare una via di soluzione.
  3. Apprendere nuove e più efficaci modalità di ascolto e comprensione empatica al fine di avviare in modo utile una relazione di aiuto.
  4. Confrontarsi positivamente e produttivamente con gli altri, specialmente nelle situazioni in cui gli altri hanno comportamenti per noi “inaccettabili”, esprimendo in modo chiaro e congruente fatti, pensieri e sentimenti.
  5. Esprimere liberamente le proprie emozioni e le proprie opinioni senza ferire o ingannare l’
  6. Saper integrare le capacità di ascolto e di confronto precedentemente apprese.
  7. Apprendere come e quando impiegare metodi “democratici” nella risoluzione dei conflitti, al fine di individuare soluzioni comuni che rispondano ai bisogni di tutte le parti in causa.
  8. Offrire opzioni efficaci a risolvere le collisioni di valori.
  9. Struttura del corso

Il Corso è di­viso in otto moduli:

1° modulo

  • Presentazione del corso e degli obiettivi.
  • Analisi delle aspettative e dei bisogni dei partecipanti.
  • Definizione del comportamento. Comportamenti dell’
  • Come capire il comportamento delle persone.
  • Il rettangolo del comportamento.
  • Come riconoscere, affrontare e risolvere i problemi.
  • Di chi è il problema?

2° modulo

  • Come prestare ascolto e attenzione all’
  • Le barriere alla comunicazione.
  • La teoria della comunicazione.

3° modulo

  • Le caratteristiche di una relazione di aiuto.
  • L’ascolto passivo.
  • L’ascolto attivo.
  • L’

4° modulo

  • Come ottenere ascolto e attenzione dagli altri.
  • I messaggi in prima persona.
  • Il confronto e l’assertività.
  • Genuinità e empatia.

5° modulo

  • Come trattare la resistenza al cambiamento.
  • La teoria dell’iceberg: cosa c’è sotto l’ira?
  • La teoria dei bisogni di Maslow.
  • Il cambio di marcia.

6° modulo

  • Come risolvere gli inevitabili conflitti in modo che tutte le parti in causa si sentano rispettate.
  • Conflitti su bisogni concreti e collisioni di valori.
  • Stili di risoluzione dei conflitti.
  • Come lavorare efficacemente in team.

7° modulo

  • Uso del potere.
  • Metodi I e II: aspetti positivi e aspetti negativi.
  • Come rendere produttiva la conflittualità.
  • Il metodo III.

8° modulo

  • Come promuovere l’autocontrollo e l’
  • Come modificare l’ambiente scolastico.
  • Come trattare le collisioni di valori.
  • Le opzioni ad alto e a basso rischio per la relazione.

Metodologia

Il corso Insegnanti Efficaci si ispira ai modi di essere” e agli atteggiamenti facilitanti” di Carl Rogers e si presenta come un corso strutturato, con sequenze temporali precise e ricco di materiale didattico. Attua una forma di apprendimento attiva e impegna i partecipanti nella diretta esperienza dei concetti e delle abilità insegnate. Facilita la condivisione di esperienze e l’espressione di idee, dubbi e problemi.

Il processo di apprendimento si svolge lungo un cammino articolato in quattro momenti essenziali:

Strutturare le varie attività: si tratta di una breve presentazione dei contenuti e degli obiettivi di ogni modulo, con l’uso di sussidi audiovisivi.

Interessare i partecipanti con l’uso di role play, di ricordo guidato di importanti esperienze, di riflessioni scritte, di esercizi, di casi esemplari, di laboratori esperienziali effettuati in coppie, triadi, piccoli gruppi.

Discutere quanto appreso condividendo in piccoli e grandi gruppi le intuizioni e le nuove tecniche apprese.

Applicare quanto imparato e sperimentato nelle proprie attività personali e professionali, esercitandosi con il personale della propria scuola, in famiglia ecc. e cominciando a pianificare l’uso costante delle abilità apprese nel proprio lavoro.

Materiale didattico

I partecipanti utilizzeranno un quaderno di lavoro (workbook) appositamente predisposto. Alla fine del corso ogni partecipante riceverà un certificato di partecipazione.

Organizzazione

Il corso ha una durata di 24 ore suddivise in 8 incontri di 3 ore ciascuno oppure in 4 incontri di 6 ore ciascuno. Soluzioni differenti possono essere concordate.

Formatore

Il corso sarà tenuto dalla Dott.ssa Simona Volpi Psicologa – Psicoterapeuta individuale e di gruppo dell’Approccio Centrato sulla Persona – Formatrice Gordon.

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riflessi arcaici

Cosa sono i riflessi arcaici?

I riflessi arcaici o neonatali sono delle attività senso-motorie automatiche e involontarie che caratterizzano i neonati nei loro primi mesi di vita. Consentono la protezione, la sopravvivenza e lo sviluppo del neonato.

Ogni riflesso ha un’età di insorgenza, un maturazione e una integrazione a livello neuronale nei mesi successivi. Le tempistiche di integrazione sono variabili da riflesso a riflesso l’importante è che tutti i riflessi vengano integrati se no potrebbero essere segno di problema neuronale.

A cosa servono i riflessi arcaici?

Il bambino quando nasce abbandona un ambiente protetto e viene catapultato in un ambiente esterno più ostile. Per sopravvivere a questo cambiamento hanno a disposizione i riflessi che gli permettono di sopravvivere.

I pediatri utilizzano la valutazione dei riflessi arcaici per verificare l’andamento dello sviluppo del piccolo. Tra questi il più conosciuto è quello della suzione, ma ne esistono molti altri, tra cui il riflesso di Moro, di Landau, di Babkin, Babinski ecc.

Vi sono soggetti di età superiore all’anno di vita nei quali i riflessi arcaici possono rimanere attivi o “disinibirsi” pur in assenza di patologie conclamate e/o di danno organico. Questi soggetti potranno andare incontro a problemi che vanno dalla difficoltà di adattare il proprio corpo nello spazio contro la forza di gravità (disordine posturale), a problematiche nella percezione, nell’azione e nell’attività cognitiva e di apprendimento.

I principali riflessi arcaici:

RIFLESSO DI SUZIONE

Viene provocato eseguendo uno sfioramente all’angolo della bocca, questo provoca la rotazione della testa in direzione dello stimolo. In seguito le labbra e la lingua effettuano una reazione di avvicinamento allo stimolo, la lingua si ritira, le labbra si chiudono e avviene la suzione.

Queste reazioni permettono al bambino di alimentarsi. Il riflesso di suzione scompare verso i 10/11 mesi.

RIFLESSO DI MORO

Questo riflesso è un riflesso di protezione viene scatenato da stimoli molto importanti, come rumori forti. Si manifesta con apertura improvvisa delle braccia in posizione supina e allarga le mani e le dita. E’ presente in tutti i neonati ad eccezione di quelli affetti da Trisomia 21.

Il riflesso di moro tende a scomparire entro il sesto mese di vita.

RIFLESSO DI PRENSIONE

Viene rievocato sfiorando con un dito il palmo della mano oppure le ditina dei piedi dei neonati. Appena avviene lo sfioramento il bambino automaticamente chiude le dita e stringe con forza il dito. La presa è molto forte e solitamente il neonato con questa presa riesce a sostenere il proprio corpo.

Tende a scomparire intorno ai 9/10 mesi, ma già intorno ai 3/4 mesi il semplice sfioramento non basta ma serve una pressione più forte.

RIFLESSO DELLA MARCIA

Tenendo il neonato sostenuto verticalmente in modo da tenere le piante dei piedi appoggiare su un piano, si manifesta un riflesso d’estensione e raddrizzamento delle gambe e del tronco. Inclinando il corpo verso l’avanti, il neonato flette ed estende gli arti inferiori: marcia automatica.

Questo riflesso tende a scomparire verso i 2 – 3 mesi di vita.

RIFLESSO TONICO ASIMMETRICO DEL COLLO (O DELLO SCHERMITORE)

Se il bambino si trova in posizione supina e gli viene ruotata la testa da un lato, automaticamente distenderà lo stesso arto superiore e fletterà quello opposto. Questo riflesso permette al neonato di non rotolare ed è la base per l’attivazione incrociata degli arti superiori e inferiori.

Spero che l’argomento sia stato per voi molto interessante.

Per maggiori informazioni o curiosità non esitate contattarmi.

La Vostra Osteopata Ilaria Fusari

I gusti alimentari dei bambini

I bambini compiono con lo svezzamento un percorso di scoperta di cibi nuovi, con consistenze, colori, sapori e profumi ancora sconosciuti. Tutte queste novità hanno bisogno di tempo per essere assimilate e, non sempre, i bambini dimostrano il loro gradimento verso alcuni alimenti nuovi.

È possibile però adottare alcune strategie per ridurre l’avversione dei bambini verso il cibo, attuabili non solo dal momento effettivo in cui il bambino inizierà a mangiare alimenti nuovi, ma, sorprendentemente, già durante la gravidanza.

Andremo allora a scoprire come permettere ai bambini di apprezzare queste novità nella loro alimentazione.

Come vengono influenzati i gusti dei bambini durante la gravidanza?

Ce lo spiega la dietista

In realtà non è del tutto corretto dire che il bambino non conosce ancora gusti e profumi dei cibi: infatti già durante la gravidanza, i bambini percepiscono alcuni sapori e odori attraverso il liquido amniotico, grazie al quale iniziano a familiarizzare con l’alimentazione seguita dalla mamma e, probabilmente, dell’intera famiglia.

Il liquido amniotico viene più apprezzato dei bambini quando c’è una maggiore concentrazione di zuccheri, derivanti dall’alimentazione della mamma. Al contrario, quando la mamma consuma pochi zuccheri e predilige cibi amari, il bambino attraverso il liquido amniotico, percepisce il cambiamento, sviluppando un’avversione per questo gusto.

Consumare una varietà maggiore di cibi durante la gravidanza e introdurre vari sapori nell’alimentazione della mamma, quindi, permette la conoscenza di vari sapori e lo sviluppo dei diversi gusti nel bambino. Si è visto inoltre che tanto maggiore è la varietà dei cibi introdotti dalla mamma, maggiore sarà la predisposizione del bambino per integrare cibi e sapori nuovi.

Ci sono comportamenti da adottare per stimolare il bambino a mangiare in modo sano?

Ecco cosa suggerisce la dietista

Nei primi mesi di vita i bambini consumano esclusivamente latte, fino al momento dello svezzamento.

Dallo svezzamento fino ai 18 mesi di vita circa, i bambini accettano facilmente di assaggiare ciò che gli viene proposto anche se, attraverso la mimica facciale, esprimono già gusti e pareri a riguardo. Ecco perché è così importante, in questo periodo, ampliare l’offerta dei cibi che vengono proposti ai bambini, per poter aumentare la gamma di sapori conosciuti.

Dai 2 anni, inizia una nuova fase, quella in cui i bambini sviluppano in modo sempre più deciso i loro gusti alimentari e dimostrano diffidenza verso le novità, soprattutto se presentano consistenze nuove o colori e sapori decisi. Questa loro avversione si manifesta a seguito del tentativo del bambino di ottenere il controllo sulla sua alimentazione.

Questa tendenza al rifiuto di cibi nuovi con sapori decisi aumenta dai 3 ai 7 anni e poi diminuisce dai 10 anni in avanti.

Esistono però alcuni accorgimenti che possono aiutare i bambini e le loro famiglie per allontanare questo rifiuto verso gli alimenti:

  • Consumare in famiglia i cibi più difficili da accettare per il bambino. In questo modo il bambino acquisirà fiducia e si sentirà più sicuro ad assaggiare quei cibi dai sapori più marcati, soprattutto quando vedrà che le persone con cui consuma il pasto, li apprezzano.
  • Non sottovalutare l’aspetto visivo del cibo. Quando un alimento viene presentato in modo più curato, si è maggiormente invogliati ad assaggiare. Questa maggiore apertura avviene negli adulti come anche nei bambini. Preparare quindi un pasto con alcuni dettagli estetici, potrebbe invogliare il bambino ad assaggiare più cibi.
  • Presentare il piatto rifiutato più volte. È importante non arrendersi subito quando un bambino rifiuta un alimento: riproporlo e presentarlo sotto diverse forme e preparazioni, potrebbe essere uno stimolo per il bambino. Un esempio potrebbe essere la verdura: la si può presentare con diversi tagli, cruda, cotta, utilizzando diverse cotture, sotto forma di passato o di purea, come contorno o come piccola decorazione del piatto. A volte sono necessarie anche 10-15 riproposizioni prima che il bambino decida di assaggiare. Per invitare i bambini ad assaggiare le verdure, per esempio, può essere utile presentare a tavola un contenitore facilmente raggiungibile dai bambini perché possano servirsi da soli.
  • Non è utile insistere perché il bambino assaggi per forza un determinato alimento; al contrario è importante stimolare il bambino per assaggiare cibi nuovi, senza ordini. Non utilizzare inoltre il cibo come mezzo: non deve essere utilizzato come ricatto per ottenere giocattoli o cartoni animati ma stimolato ad assaggiare perché utile per la crescita e la salute.

Se per esempio al bambino piace un particolare sport, potrebbe essere una strategia dire al bambino che assaggiare un po’ di tutto, lo farà diventare più bravo/più forte. Oppure ancora, se il bambino segue uno specifico atleta, dire che anch’egli consuma tanti alimenti sani.

  • Coinvolgere il bambino nella preparazione dei pasti. I bambini amano svolgere attività manuali, ancora di più se invitati dagli adulti. Si potrebbero affidare loro dei piccoli compiti, sia per prendere una maggiore confidenza con il cibo, sia per conoscere la consistenza attraverso la manipolazione e sviluppare una maggiore curiosità verso il cibo.
  • Usare spezie e aromi per migliorare il sapore del cibo in modo naturale, senza dover aggiungere insaporitori artificiali o alimenti poco salutari come sale e zucchero, quasi sempre in eccesso nell’alimentazione dei più piccoli.
  • Mangiare con tutta la famiglia. Condividere il cibo permette ai bambini di riconoscere il cibo non solo come fonte di nutrimento, ma anche come momento di condivisione e di sentimento.
  • Insegnare ai bambini ad esprimere i loro gusti, trovando parole, aggettivi e paragoni da usare per il cibo e le sue caratteristiche, che possano permettere al bambino di allenare i propri gusti.

Se il tuo bambino fatica ad accettare cibi nuovi o se hai bisogno di una consulenza per migliorare l’alimentazione della tua famiglia, contattaci alla mail dietista.pesenti@libero.it. Puoi rimanere aggiornato anche attraverso i nostri canali social.

Dietista Pesenti Federica

bilinguismo

Nel panorama italiano sono sempre più numerosi i bambini che imparano l’italiano come seconda lingua (L2), in quanto la lingua parlata nel contesto familiare è diversa dall’italiano (L1). È sempre più frequente trovare nelle scuole classi multietniche e bambini plurilingue. Ma cosa significa essere bilingue? Esistono definizioni diverse a seconda delle quali nascono condizioni diverse di bilinguismo. In questo articolo per “bilinguismo” si intende la capacità di usare correttamente almeno due lingue, questo significa parlare due lingue allo stesso modo, con le medesime competenze dal punto di vista lessicale, grammaticale e morfosintattico.

Se consideriamo questa definizione, coloro che possono essere definiti bilingue sono una piccola parte della popolazione, in quanto, per la maggior parte delle persone, vi sarà sempre una lingua in cui la competenza linguistica, grammaticale e morfosintattica è maggiore rispetto all’altra lingua.

Cosa serve ad un bambino per essere definito bilingue? È sufficiente farlo giocare con il tablet o ascoltare canzoni in un’altra lingua? Il bambino per crescere bilingue ha bisogno di tre cose:

  1. TEMPO: in termini di quantità di esposizione ad entrambe le lingue (almeno 2 anni per almeno il 30% del tempo);
  2. CORRETTEZZA: in termini di input linguistico corretto;
  3. RICCHEZZA: in termini di interazione linguistica diversificata. Il linguaggio usato per esempio nel solo contesto domestico è per il bambino poco ricco e diversificato in quanto basato sui medesimi argomenti e routine. Un modo utile per diversificarlo? Leggere dei libri insieme al vostro bambino. Questo permette di proiettare il bambino in nuovi mondi, scoprire nuove parole e apprendere più rapidamente.

Ma, vi siete mai chiesti quante tipologie di bilinguismo esistano?

Possiamo classificare il bilinguismo in relazione a diversi criteri:

  • Età di esposizione: in relazione a questa variabile possiamo distinguere in bilinguismo simultaneo e sequenziale. Il bilinguismo è di tipo simultaneo quando un bambino è esposto contemporaneamente ad entrambe le lingue, ad esempio quando la madre parla italiano e il papà inglese. In questo caso si parla di “un genitore una lingua”, ovvero ognuno dei genitori parla al bambino con la sua lingua madre. Il bilinguismo è invece sequenziale quando il bambino è esposto prima ad una lingua e successivamente ad un’altra, è il caso per esempio di famiglie che si trasferiscono in un altro paese. Il bilinguismo sequenziale si suddivide a sua volta in intermedio e tardivo. Il primo si verifica quando il bambino viene esposto alla seconda lingua prima degli 8/10 anni, mentre il secondo quando il bambino è esposto alla seconda lingua oltre tale termine. Perché è così importante questo limite cronologico? I bambini bilingue simultanei e sequenziali intermedi avranno le medesime abilità di un madrelingua, mentre un bambino bilingue sequenziale tardivo differirà rispetto ad un madrelingua in almeno due domini importanti, quali pronuncia e grammatica. Pensiamo ad esempio a Belen, da tanti anni in Italia, eppure con un marcato accento spagnolo che non sfugge ad un parlatore madrelingua italiano. Questo perché l’esposizione della modella all’italiano è avvenuto oltre gli 8/10 anni, e quindi i domini pronuncia e grammatica non sono stati acquisiti nella giusta finestra temporale per poter essere paragonati a quelli di un madrelingua.
  • Bravura: in questo caso si parla di bilinguismo dominante e bilanciato. Il primo si verifica quando una persona conosce molto bene L1, ma meno bene L2. Accade in tutti i quei casi in cui la seconda lingua (L2) viene appresa in contesto scolastico senza poi usufruirne in quotidiano. Un bilingue bilanciato ha padronanza invece di entrambe le lingue.
  • Percezione sociale delle lingue: se una lingua ci eleva a livello sociale, sposo quella lingua che diventa la mia lingua principale (da L2 diventa L1), e smetto di usare la mia lingua di origine (L1). Si parla in questo caso di bilinguismo sottrattivo, ove la lingua appresa rovina in modo parassitario la mia lingua di origine. All’opposto troviamo il bilinguismo adattivo dove la seconda lingua aumenta invece le mie capacità e conoscenze.

Abbiamo quindi capito che il bilingue è colui che usa e conosce due o più lingue. Il dialetto può essere considerato come una seconda lingua? Ebbene si, i dialetti a livello cognitivo possono essere considerati come una lingua, anche se il dialetto in questione non ha una letteratura a supportarlo. Se una lingua è presente nella nostra testa e dobbiamo scegliere tra una lingua o un’altra durante una conversazione, allora può essere considerato bilinguismo.

Durante la mia attività lavorativa spesso mi è stato chiesto se un bambino bilingue è più intelligente di un bambino monolingue. Tale domanda ha poco senso, in quanto a livello intellettivo non esistono differenze tra monolingue o bilingue, la vera differenza si riscontra invece a livello cognitivo. Bambini bilingue mostrano maggiore capacità attentiva, mnestica, flessibilità cognitiva (capacità di passare da un compito all’altro modificando la consegna), acquisiscono parole in modo più rapido, risolvono problemi più rapidamente, migliore abilità uditive e di generalizzazione. A prescindere dalla lingua, i bambini bilingue mostrano tutte questa abilità potenziate.

Inoltre, ci sono studi in letteratura che mostrano come i bilingue sviluppino malattie degenerative in modo ritardato rispetto ad un monolingue. Quello che si osserva a livello cerebrale è una maggiore rete di collegamenti neuronali, nonché un’iperattivazione di alcune aree cerebrali che non si verifica in persone monolingue. Avendo più reti neurali possiedono una ridondanza neurale, questo significa che più neuroni svolgono la medesima attività, e in malattie degenerative come l’Alzheimer che va a distruggere i neuroni, possederne di più permette di affrontare meglio la malattia e di svilupparla più tardivamente (si parla di addirittura 5 anni!).

Spesso capita di imbattersi in genitori titubanti sul fatto di parlare la lingua d’origine al bambino, perché “altrimenti resta indietro, impara più lentamente, parla più tardi”. In realtà il bambino bilingue produce le prime parole nelle stesse tempistiche di un bambino monolingue, apprende più facilmente lingue nuove e sviluppa in modo più potenziato tutte le abilità di cui abbiamo parlato precedentemente.

Ma se il mio bambino ha un disturbo di linguaggio è colpa del bilinguismo? La risposta è no! Non esiste questo meccanismo causa effetto, quindi se un bambino è bilingue questo NON è la CAUSA del suo ritardo o disturbo di linguaggio, e non incide sulle tappe di sviluppo linguistico.

Questo significa che se il mio bambino è bilingue non avrà difficoltà linguistiche? No, o almeno non è detto. Ogni caso va valutato a sé, se sospettate un ritardo di linguaggio o avete qualche dubbio su come rapportarvi al vostro bambino bilingue, mi trovate in via Enrico Fermi 10, presso il Centro La Trottola, vi aspetto!

Dott.ssa Logopedista Valsecchi Nicole